Interview with Beppe Ramina

Tuesday 19 July 2022

Giuseppe (Beppe) Ramina was born in Forli in 1951. He was an activist in the groups Lotta Continua, Collettivo Frocialista, and il Cassero di Porta Saragozza and has served as president of Arcigay nazionale and Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS (LILA).


Rachel Love: [00:01:22] Io sono Rachel Love. Sono qua con Beppe Ramina, il 7 aprile del ’22. Possiamo incominciare anche–sei è nato a Forlì, vero?

Beppe Ramina: [00:01:37] Sono nato a Forlì 70 anni fa, nel novembre 1951.

Rachel Love: [00:01:43] Auguri! Quando sei arrivato a Bologna, i tuoi primi ricordi?

Beppe Ramina: [00:01:48] Ma guarda, sono arrivato a Bologna stanziale nel ’73, ’74 perché militavo in un gruppo che si chiamava Lotta Continua. Da Forlì ero spostato a Reggio Emilia per aiutare, diciamo, l’organizzazione politica lì, poi divenni segretario regionale di Lotta Continua e venni a Bologna. Quindi i miei ricordi di quel periodo sono legati soprattutto alle manifestazioni, le lotte, gli scontri con la polizia, queste cose.

Rachel Love: [00:02:21] Sì, eri già attivista.

Beppe Ramina: [00:02:24] Ero attivista, non del movimento LGBT che viene dopo–nel movimento LGBT. Io fino al ’77, 1977, ho avuto rapporti quasi esclusivamente con donne. E nel ’77 lessi un libro per me importante di Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale. Un po’ c’era molta confusione anche a Bologna. La nostra organizzazione si era sciolta, per cui eravamo tutti un po’ più liberi, e incontrai il Collettivo Frocialista Bolognese, del quale entrai a far parte. Da lì cominciai ad essere attivista anche del movimento gay. Poi invece l’incontro con l’Aids dell’83.

Rachel Love: [00:03:17] Puoi parlare anche un po’ a ruota libera. Io non ti interrompo. Mi piace il filo delle storie–ma visto che eri già attivista in questo mondo, come era visto l’arrivo dell’Aids?

Beppe Ramina: [00:03:40] Ma sì, guarda, noi avevamo ottenuto i locali del Cassero che non era dov’è adesso, era a Porta Saragozza. E ricordo una sera venne un ragazzo che viveva a New York, credo, il quale ci portò proprio un trafiletto di giornale dove diceva la peste gay ecc. E fu il primo allarme. E naturalmente–

Rachel Love: [00:04:09] Era già arrivata la notizia alla stampa italiano? O era anche prima.

Beppe Ramina: [00:04:15] Secondo me alla stampa italiana ancora no. E diciamo, le autorità sanitarie si erano mosse abbastanza rapidamente e di conseguenza ci contattarono da due maggiori ospedali di Bologna, Ospedale Maggiore e Ospedale Sant’Orsola, primo il Maggiore, per creare un gruppo di monitoraggio, e quindi creammo insomma–chi volle aderire a questo screening che venne fatto nel 1983. È l’inizio, il primo, appunto, aderimmo e si iniziò a entrare dentro questo tema anche fisicamente.

Rachel Love: [00:05:02] Si presentavano già casi?

Beppe Ramina: [00:05:06] Beh, ci furono alcuni che vennero trovati sieropositivi subito e qualcuno è anche un Long Survivor, come si dice, come un amico che da molti anni vive a New York, e lui, dall’83 credo, venne rilevato positivo e quindi è da tanto tempo che sopravvive molto bene. Vive molto bene.

Rachel Love: [00:05:41] Una meraviglia.

Beppe Ramina: [00:05:41] Si.

Rachel Love: [00:05:43] Ma c’era molta ansia? O ancora no?

Beppe Ramina: [00:05:47] Ma sai l’ansia adesso non ricordo precisamente quando iniziarono i primi morti, ecco, però quando si capì, insomma, com’era la situazione, come poteva diventare, iniziammo ad occuparci, ovviamente. Anche perché cominciava ad avere anche un certo clamore sulla stampa, nel dibattito politico, nel dibattito pubblico. E ricordo che facemmo un congresso nazionale di Arcigay di cui allora ero presidente nazionale–nell’85 mi pare–dove–sulle date posso sbagliare–

Rachel Love: [00:06:33] Si, non importa, è la storia che conta.

Beppe Ramina: [00:06:35] Dove proponemmo io e Franco Grillini, che era segretario nazionale allora, un documento per attivare l’associazione sulle questioni relative all’HIV. E ancora c’erano diversi militanti che dicevano, “Ma no, è una cosa che non esiste, non ha questo rilievo che gli viene dato.” Insomma c’era molta resistenza a farsene carico. Per cui, diciamo, il percorso è stato abbastanza lento verso il raggiungimento della consapevolezza su queste cose. Come Arcigay poi nel 1986-’87, probabilmente, fondammo la Lega italiana per la lotta contro l’Aids, perché ritenevamo prima di tutto che non fosse una questione che riguardasse solo i gay, quindi che dovesse vedere un fronte più ampio, impegnato. E in secondo luogo percepivamo il fatto che noi eravamo ancora un po’ gracili come associazione per far fronte anche alla marea mediatica che veniva su queste cose. Quindi decidemmo di costituire quest’associazione con un largo gruppo di associazioni e di realtà, di cui Don Luigi Ciotti del Gruppo Abele, che fu il primo presidente della Lega italiana per la lotta contro l’Aids, Medicina democratica, Psichiatria democratica. E c’erano suore, ricordo, c’erano alcune suore del Dissenso cattolico, e c’era la Caritas di Roma con Don Di Liegro. C’erano dei ricercatori che si occupavano di Aids, insomma. […] E quindi c’era questa realtà molto ampia, c’era l’ARCI nazionale che da subito si mise a disposizione di questo progetto e quindi affrontammo di più questa, questa situazione, questa emergenza con un gruppo più ampio di persone. Poi a don Ciotti il Vaticano disse che non poteva essere presidente di un’associazione che propagandava l’uso del preservativo. Quindi lui fu costretto a dimettersi e feci io presidente nazionale. Poi, dopo alcuni anni, lo fece Vittorio Agnoletto, che poi è stato anche europarlamentare ed è un medico.

Rachel Love: [00:09:44] Ho il suo libro.

Beppe Ramina: [00:09:44] È un librone.

Rachel Love: [00:09:47] Sì, ma è utile, meno male che ci sia qualcosa.

Beppe Ramina: [00:09:52] E prima ancora che lui c’è stato quello di Giovanni Dall’Orto del Gruppo Abele, edito dal Gruppo Abele.

Rachel Love: [00:09:58] Proprio il primo.

Beppe Ramina: [00:10:00] Ti vedo preparata.

Rachel Love: [00:10:05] Sì, ma ci vuole quando fai le interviste. E c’era la percezione che magari essendo un movimento abbastanza giovane, quello della LGBTQ–ai tempi gay–che non aveva la forza di affrontare una questione come AIDS da solo?

Beppe Ramina: [00:10:33] Ti dico, appunto, una delle ragioni per cui creammo la Lila fu anche questo. Poi se fossimo stati da soli, lo avremmo affrontato anche da soli, per carità. Non ci si tira indietro, no? Però valutammo che fosse preferibile appunto chiamare anche altre realtà ad occuparsi di questa cosa in maniera organizzata in modo da avere più forze, insomma, nell’affrontare. Lì poi nacque, diciamo, un’altra associazione che era Anlaids, che era più legata ai medici, allo specifico dei medici, malattie infettive. E a Milano nacque l’ASA, che tu intervisterai, e che era appunto una realtà autonoma, insomma, non era né con la Lila né con l’Anlaids, aveva una sua specificità. E quindi c’era questa realtà anche un po’ in concorrenza. Poi ci fu Plus, non questa di Bologna che c’è da qualche anno, ma è una realtà romana. Con Luigi Cerrina, si chiamava, il suo esponente di punta, radicale.

Rachel Love: [00:12:12] Ma erano associazioni di persone sieropositivo, di sinistra?

Beppe Ramina: [00:12:14] Sì, sieropositive, radicale, Partito radicale. Sì, un po’, diciamo, a cavallo tra sinistra e liberale, insomma. E quindi che era, non so, una realtà piccola ma abbastanza fastidiosa, devo dire, mentre con le altre un dialogo comunque c’era. Anche perché il presidente dell’Anlaids era–adesso mi sfugge il nome–Aiuti, Ferdinando Aiuti, che era diciamo imprescindibile, cioè bisognava per forza parlare con lui, e fece anche un buon lavoro, ecco, non ho assolutamente nulla da dire. E se c’è qualcosa diciamo che secondo me è mancato–poi ho avuto il mio compagno di allora che si è ammalato e morto nel ’94–che è mancato un punto di vista strutturato. In altri paesi, adesso negli Stati Uniti le esperienze sono tante, importanti, c’è stato di più un’organizzazione di gay, lesbiche, transessuali che si sono occupate di prendersi cura delle persone, come portare il cibo, all’assistenza, al creare degli alloggi per le persone con AIDS e così via. Qui in Italia questo non c’è stato. Un po’, secondo me, perché qui il welfare è abbastanza forte e la sanità pubblica interviene, non hai bisogno di comprare l’AZT che costa tantissimo, o altre cure, insomma. Quindi non avevi queste necessità. E interviene anche abbastanza sugli altri aspetti, tipo l’invalidità, viene dato un assegno. Poi anche, a mio parere, anche perché comunità vere e proprie in Italia non ci sono mai state. Nel senso dell’esperienza statunitense o anche inglese. In più c’è il fatto che in alcuni stati, non so, la Francia ha Parigi, la Gran Bretagna ha Londra. Adesso ci sono alcune città che dove si concentrano tutti. Mentre in Italia ci sono tantissimi comuni grandi, piccoli, medi, eccetera. E c’è molta più dispersione anche delle comunità. Per cui, anche quando si ammalò il mio compagno Antonio, ci fu una grossa solidarietà da parte dei miei amici, sia quelli dell’esperienza Lotta Continua, sia quelli del Cassero, ecc. Non fummo mai soli, proprio, e così fu anche per altri che si ammalarono. Però non fu una cosa strutturata, cioè non c’era l’associazione che si occupa di–c’era un gruppo di amici che si occupa della persona che sta male, non altro.

Rachel Love: [00:15:37] E magari nel vostro ambiente di sinistra, di militanti, magari anche questo ha aiutato.

Beppe Ramina: [00:15:44] Sì, sì molto. Nel mio caso sì.

Rachel Love: [00:15:47] C’era una percezione che l’Italia fosse indietro?

Beppe Ramina: [00:15:53] Ma si, prima di tutto perché il ministero della Sanità era, diciamo, omofobo. Quindi, proprio, voglio dire io rispetto che uno sia omofobo, ma sei il ministro della Sanità, devi essere ministro della Sanità. Poi lui in privato può essere omofobo. E quindi non c’è stato un sostegno come è stato, non so, in Svizzera, in Germania, alle associazioni che si occupavano di Aids. Né in Gran Bretagna, quel che ho capito un po’, c’è una tradizione delle charities che è molto diffusa, molto forte. E quindi c’è l’abitudine anche da parte di che ne so, di Elton John, che dice, “Do un milione di sterline per l’Aids, per Food for Wheel, come si chiama l’associazione.

Rachel Love: [00:16:50] Meals on Wheels, da noi.

Beppe Ramina: [00:16:54] Oppure Terrence Higgins Trust, insomma. C’erano queste cose qui. In Germania c’era la Deutsche Aids Hilfe. In Svizzera non ricordo come si chiamasse, però guardavamo con molta invidia perché venivano finanziate con molti denari pubblici e quindi anche, diciamo, le attività erano di livello–noi non avevamo soldi, ecco proprio così. Anche come Lila, ad esempio, non accettammo, sai, queste raccolte che si fanno per le associazioni italiane, per la lotta contro i tumori in cui compri l’uovo o compri l’azalea che sono gestite da società che ti propongono un–al meno, allora era così. Ti diamo 20 milioni, tu dai a noi il tuo marchio, noi gestiamo la cosa, tu hai assicurati quei soldi, il resto ce lo teniamo noi. E noi non accettammo questa cosa, né accettammo che le case farmaceutiche finanziassero perché anche le case farmaceutiche erano interessate a mettere il loro marchio vicino alle nostre attività. Cioè volevamo essere indipendenti senza dovere rispondere a qualcuno di quello che facevamo. Quindi, sia come Lila, sia come Arcigay o altre realtà gay, non avevamo soldi. Chi forse ne aveva un po’ di più era a Roma, il Circolo Mario Mieli, perché lì c’era il dirigente dell’Osservatorio epidemiologico della Regione Lazio che si chiamava Peruzzi, mi pare, il quale faceva parte anche della Lila e li finanziò molto bene. Però fu un caso. Forse a Milano, non so però. E poi c’erano, sì, iniziative, serate di spettacolo e così via per raccogliere fondi. Però non erano mai cifre veramente importanti, erano cifre importanti per noi, ma poco utili per le attività. E poi non ci fu mai come un vero e proprio call, diciamo, al mondo dell’arte e degli intellettuali e così via perché finanziassero dei progetti. Probabilmente perché quei progetti neanche c’erano. Cioè al di là della comunicazione dell’informazione, però non c’era casa alloggio oppure certo, non c’erano delle cose visibili. Magari c’era una casa alloggio, ma era della Caritas che l’aveva comunque, l’aveva già. E questo delle case alloggio poi si fece, in realtà, ma si fecero più avanti.

Rachel Love: [00:19:56] Negli anni ’90?

[00:19:57] Negli anni ’90, sì, e poi adesso non credo ci siano neanche più, credo non ci sia più. Almeno a Bologna sicuramente non c’è più.

Rachel Love: [00:20:09] E le prime attività erano più sulla prevenzione? O cosa faceva Lila all’inizio?

Beppe Ramina: [00:20:15] Ma era, diciamo, era su due fronti. Da un lato il contrasto alle politiche governative, diciamo, e anche a quella che era la stampa, l’opinione pubblica su questi temi e dall’altro l’informazione che era una formazione tra pari. Cioè noi sostenevamo che appunto più che le grandi campagne che dall’alto dice–sarebbe stato molto più importante, invece informare delle persone gay, non gay nelle scuole, tra i ragazzi, le ragazze e così via, perché fossero loro a diventare attive su queste questioni e quindi raccontassero quali fossero gli atteggiamenti più sicuri da tenere in questo, se avevano rapporti sessuali, se si usavano le siringhe e così via. E anche per sfatare appunto il fatto, c’era molto terrore, come sai, insomma. Con una persona sieropositivo, oddio, non posso mangiare con lei, non posso averlo al lavoro, non posso andare dal parrucchiere o dal dentista, men che meno, eccetera eccetera. Quelli erano tutti punti sui quali si andava a contrasto. Insomma, si cercava di spiegare come stavano le cose. E sui dentisti mi ricordo a Bologna trovammo alcuni dentisti che erano disponibili sapendo che le persone erano sieropositive a fare gli interventi che erano necessari, tutti bardati con degli scafandri però comunque si garantiva, diciamo, qualcosa che avesse a che fare con la salute. E lì fu importante secondo me questa cosa che fece Fernando Aiuti con Rosaria Iardino, il famoso bacio che si diedero che sì, una cosa piccola ma di grande, come tutte le immagini, diciamo, di grande peso. Ecco, poi non so se intervisterai anche Franco Grillini.

Rachel Love: [00:22:39] Spero di sì, ci stiamo mettendo d’accordo.

Beppe Ramina: [00:22:44] Perché su tutta la parte profilattici, Arcigay, i campeggi ne parlerà lui anche per più di 2 ore secondo me.

Rachel Love: [00:22:55] Va bene così, mi piace. Arrivavano informazioni anche da altri paesi?

Beppe Ramina: [00:23:08] Sì. Noi–diciamo i materiali anche che producevamo in buona parte li ricavavamo anche da quello che si vedeva soprattutto dalla Svizzera o dalla Germania, con le cose che ci arrivavano da loro. Che poi in una certa misura era un circuito in cui tutti erano in contatto e quindi più o meno i materiali erano sempre gli stessi, non è che fossero molto diversi, diciamo. La cosa era diventato problematico, ad esempio anche con l’AUSL, l’azienda sanitaria di Bologna, che pure era disponibile e con la quale c’erano relazioni. E quando si era molto espliciti sulle pratiche sessuali, per cui c’era un po’ di, “Eh, bisogna discutere, ma come fate questo volantino dove si vede un cazzo, sul quale si mette un preservativo, si, bisogna”–Poi si trovava magari il modo in cui non direttamente finanziavano, ma indirettamente, già tutto una cosa molto italiana.

Rachel Love: [00:24:24] Ma ha fatto danni, magari, questa mancanza di [chiarezza]–

Beppe Ramina: [00:24:30] Sì, diciamo, noi facevamo ugualmente il circuito gay, delle saune, dei locali e così via. Preservativi, materiali e così via, li producevamo anche da soli. Ecco, non è che avessero dei costi esagerati, naturalmente. Quello che costa di più è una struttura, un alloggio, quello costa. Questi materiali erano un investimento, però costava un po’ meno. Poi, a un certo punto ci fu un finanziamento, ma ti parlerò Franco, che venne dal Ministero della Salute, Ministero della Sanità cospicuo per l’Arcigay che fossero 900 milioni, insomma una cifra importante, che consentì di fare tutta una serie di iniziative molto di maggiore impatto, ecco. E però venne piuttosto avanti nel tempo, già, non quand’era più necessario. Insomma, era necessario anche dopo, però.

Rachel Love: [00:25:36] Non all’inizio.

Beppe Ramina: [00:25:37] Non all’inizio, sì, credo sia stato dal ’90 in avanti. Erano già passato alcuni anni.

Rachel Love: [00:25:46] E alcuni morti.

Beppe Ramina: [00:25:48] Eh sì.

Rachel Love: [00:25:49] Facevate anche giri di conferenze? Infatti oggi ho visto su Babilonia un articolo tuo penso che parlava di una conferenza a Stoccolma.

Beppe Ramina: [00:26:02] Sì. Ne parlavo oggi con un collega perché lei deve andare a Helsinki a giugno. Allora ho detto, andai a Stoccolma, non ricordo l’anno, ed era giugno, credo. E c’era sempre il sole giorno e notte. Ed eravamo ospiti in una casa di una sorella della morosa di Stefano Benni, che era svedese. E non c’erano le tende alle finestre, per cui dopo due giorni–dovevamo stare lì cinque giorni–dopo 2 o 3 giorni ho detto, “Riparto perché non riesco a dormire.” Sì, lì ci fu forse il primo congresso internazionale sull’Aids dell’Organizzazione mondiale della Sanità, nella quale c’era anche delle sessioni scientifiche, insomma. E poi c’era, forse per la prima volta, per quanto riguarda una, mi viene da dire disease, ma per insomma, una malattia la presenza massiccia di organizzazioni non governative, e quindi c’era una sessione dedicata alle organizzazioni non governative. Eravamo in buon numero, come una centinaia di persone. Ricordo da New York c’era questo Jim Fouratt, che è stato uno dei leader di Stonewall, eccetera. Poi ho letto recentemente, sono andato a vedere, ho detto, ma sarà vivo, che fa o non fa? Era stato criticato per non so quali posizioni, forse transfobo, contro le trans. Non ricordo, insomma, se era un po’ meno radicale di prima, anzi era molto radicale, ma contro. E quello che coordinava la cosa che ricordo spesso era di un NGO di New York, credo.

Beppe Ramina: [00:28:20] E lì, ad esempio, a differenza nostra, nel NGO c’è un board che è politico e una parte operativa che veniva selezionata come in una azienda. Noi vogliamo raggiungere questi obiettivi. Ti paghiamo tanto, ti mettiamo a disposizione queste cose. Chi vuole farla questa cosa? Presenti il curriculum, eccetera. Mentre noi non abbiamo questa distinzione della nostra associazione, cioè chi fa il politico, fa anche il tecnico, fa anche l’amministrazione. fa tutto, un casino. E questo signore, che era il direttore di questo NGO molto importante, fu bravissimo perché qui ci sono 30 temi dei quali dobbiamo parlare con la Oms. Su quali non siamo d’accordo? Ne restano dieci. Su questi dieci siamo d’accordo. E in Italia cosa avremmo fatto? Noi avremmo fatto il contrario. Su quali siamo d’accordo? Quei dieci. Bene, discutiamo degli altri venti. E non ci saremmo mai trovati d’accordo. È proprio il contrario. E questo pragmatismo mi ha colpito. Ho detto, “Ma che bravo,” appunto. E comunque sì, fu, diciamo, la prima volta che partecipai a una cosa di questo genere. Poi ci fu a Firenze. Non ricordo l’anno neanche lì, ma credo, ’92, forse ’91.

Rachel Love: [00:29:59] Forse ho visto una foto di una protesta, di ACT UP Europe, lì.

Beppe Ramina: [00:30:04] Sì, ci fu la manifestazione. Forse ho qualche foto su Facebook, devo averla scansionata tempo fa. E poi partecipai ad un altro, non ricordo se era dell’Oms o se era invece solo del NGO, a Parigi nel ’91, forse ’92, insomma. Dunque no, il figlio di Bruno aveva tre anni, adesso ne ha 35. Siamo stati a Parigi da un amico che aveva questo bimbo e adesso ne ha 35, quindi dell’87, quindi il ’90, probabilmente, ’90 o ’91. E lì erano soprattutto che io ricordi era alla Défense a Parigi, ed erano soprattutto NGO che si riunivano. Ricordo che c’era questo esponente dell’associazione, un’associazione gay importante parigina, che era anche un consulente del governo francese. C’era Mitterrand, credo l’allora Presidente della Repubblica socialista, e questo attivista era un esponente socialista e consulente del governo. C’era molta impressione tra noi. In Italia ci trattano tutti malissimo a livello governativo, invece, questo è consulente. Era una persona molto moderata politicamente, diciamo, però faceva la sua parte. C’era anche ACT UP di Parigi e poi c’erano le delegazioni da tutto il mondo. Ricordo di aver fatto sesso con un brasiliano, credo, quindi, lì era andato tutto il mondo.

Rachel Love: [00:32:00] Una cosa internazionale quindi. E questa cosa dell’ACT UP, perché–

Beppe Ramina: [00:32:08] Perché non c’è stata in Italia? Ma perché non c’è stata in Italia, chi lo sa? Bella domanda. Diciamo da un punto di vista, da certi punti di vista ci sono delle ragioni dovute al welfare, l’accesso alle cure, eccetera, era garantito. Non dovevi pagare di tasca tua anche i farmaci e così via. Da altri punti di vista probabilmente anche perché, appunto, qui c’è ancora una struttura–c’ ancora, adesso molto meno, naturalmente, una struttura familiare che è molto più pervasiva. Pier Vittorio Tondelli, hai presente lo scrittore Tondelli, quando si ammalò, eravamo amici, lui ha abitato qui a Bologna per tanti anni, e ricordo l’ultima volta che lo vidi era già un po’, insomma, abbastanza colpito dalla malattia. E quando si ammalò più gravemente, in pratica la famiglia lo sequestrò. Cioè non ti potevi avvicinare. E credo che anche sui suoi scritti–lui una volta mi disse, “Vedi, con la mia famiglia sono un po’ in rotta. Se io andassi in televisione–lui si rifiutava di andare in televisione–se io andassi in televisione, diventassi uno di quelli che parla di tutto su tutto, sicuramente con la mia famiglia avrei migliori rapporti perché mi vedrebbero come una star televisiva e non più come lo scandalo.” E questo è successo a Pier Vittorio, che è una persona nota. Quante persone meno note nel momento in cui erano sieropositive, la famiglia si vergognava, non voleva che si sapesse, e magari anche una certa auto-omofobia, diciamo, omofobia introiettato, come si dice, per cui ritieni che la responsabilità della malattia sia tua perché non hai fatto attenzione, eccetera eccetera.

Beppe Ramina: [00:34:19] E quindi veniva anche– le persone sieropositive che si manifestavano apertamente come sieropositive erano pochissime. C’era R., questo ragazzo, ora uomo, che sta a New York, adesso, c’era l’ASA di Milano, e c’era Rosaria Iardino. C’era Luigi Cerrina, ma insomma erano pochi. E io, ad esempio, proposi, quando mi dimisi dalla Lila, di mettere, dissi, “Ma perché non mettiamo come presidente, appunto, Rino, per dare e valorizzare la presenza delle persone sieropositive.” Ricordo una riunione con Don Ciotti e Vittorio Agnoletto–questa cosa, insomma, non piaceva. Ma non ho capito mai perché, diciamo, se non che Vittorio voleva fare lui il presidente della Lila. Però non ho mai capito perché Don Ciotti lo sostenesse. C’era un po’ il timore, mi è sembrato di capire, che gli omosessuali volessero prendere l’egemonia della Lila. Mi sembrava una sciocchezza. E però, appunto, diciamo, non c’era questa grande presenza di persone sieropositive che fossero protagoniste della loro vita, del loro bisogno. E quindi, da quel che ho capito io di ACT UP, mi sembra di capire che sia nata anche in Francia con un’esigenza personale forte di persone sieropositive che hanno detto bene, mettiamo in gioco le nostre vite. Però anche lì nasce a Parigi, città di 12 milioni di abitanti, allora non so quanti fossero, cioè che è la Francia. E da noi, appunto, magari c’è quello che sta a Ravenna, quello che sta tra quattro case, 100.000 abitanti quando va bene, cioè un altro livello, diciamo.

Rachel Love: [00:36:29] Magari affrontare queste due stigmi dell’omofobia e sierofobia–

Beppe Ramina: [00:36:39] Sì, probabilmente, diciamo sì, sicuramente era una questione che pesava di più, ecco, mettere insieme entrambe le cose. Ti dico anche Antonio, il mio compagno, quando si ammalò, va be’, lo vennero a sapere tutti. Però non c’erano occasioni in cui, come persona sieropositiva–e non so neanche se lui avrebbe voluto partecipare. E la Cesarina, non so se ne hai sentito parlare, c’è un giardinetto dedicato a lui, a Bologna–Stefano Cagrande si chiamava, ma tutti lo chiamavamo la Cesarina –ed era l’animatore del Cassero, una persona molto estroversa, molto creativa. Chi lo ha conosciuto lo ricorda ancora in maniera mitica. Però anche lui quando si ammalò, lo disse a me e ad altri tre. Cioè lo sapevano tutti in realtà, però, lo tenne lì, chiuso tra pochi di noi. Pure era una persona che non ha mai nascosto l’omosessualità, è sempre stato molto, molto estroverso. Però questa cosa qui, la sieropositività, non ne voleva fare una cosa pubblica. E probabilmente, appunto, per il fatto anche che è rimasto dentro un ambito individuale. Non c’è stato un movimento, sono solo cose un po’ che si alimentano l’una con l’altra. Cioè non c’è il movimento di persone sieropositive e i sieropositivi non si manifestano, se le persone sieropositive non si manifestano, non c’è il movimento di persone sieropositive. E quindi sì, c’è stato l’ASA, che è stato una presenza importante. E Plus mi pare che si chiamasse Plus, questo di Cerrina che anche si è fatta sentire. Però non era realtà con molti, che io sappia per lo meno, con molti attivisti, ecco. Aveva alcune figure che si esprimevano, ma molte altre no.

Rachel Love: [00:39:07] Ci doveva essere tanta solitudine, immagino.

Beppe Ramina: [00:39:13] Ma dipende. Dipende dalle persone e dalle situazioni. E poi a me è capitato di avere diversi amici che sono morti allora, però c’era chi era stato tossicodipendente, chi era etero però aveva avuto dei rapporti non protetti con delle persone sieropositive. La cosa che accomunava era che lì l’esito era abbastanza–cioè o te la cavavi, non so come dirlo, o riuscivi ad arrivare poi ai farmaci. Antonio è morto nel dicembre ’94. A gennaio del 1995 esce fuori questa idea della triplice, dei tre farmaci combinati, per cui se arrivavi fin lì probabilmente ti salvavi e quindi forse te la cavavi tipo Rino che riesce ad arrivare fino ai farmaci e poi ce la fa, oppure durava poco, un paio d’anni dalla diagnosi. […]

Rachel Love: [00:41:58] Ho parlato con Filippo Von Schloesser, del Nadir, la settimana scorsa. E lui mi parlava del concetto di ponti. Che prendevi un ponte di farmaci e arrivavi alla fine se c’era un altro ponte poi ti salvavi, se no– questa idea che era te la cavavi per un periodo di tempo.

Beppe Ramina: [00:42:31] Lì non so perché ad esempio, Antonio non prese mai l’AZT. Perché poi andava da un medico naturopate che su–“Ma l’AZT fa male,” ma poi si diceva fa male al fegato, non aiuta. Probabilmente se avesse preso–chi lo sa. E quindi non lo–però chi prese l’AZT anche V. che è un’altra, non so se te ne hanno parlato, un’altra persona che era, che è positiva da tanti anni e, ormai quarant’anni, che è una persona transessuale e anche lei con l’AZT è arrivata ai farmaci e quindi–Però c’è anche chi l’ha preso e invece non ha fatto nulla.

Rachel Love: [00:43:33] Difficile capire nel momento, magari, la strada giusta. Con il senno di poi. […] C’erano sfide particolari dal contesto italiano? Ne abbiamo già parlato un po’, però, tipo l’impatto della Chiesa cattolica?

Beppe Ramina: [00:44:43] Beh, sì, certo, quel impatto c’è, impatto forte. Poi, e ti ripeto, appunto, l’episodio di Don Ciotti è emblematico. Non poteva mantenere questo– tra l’altro, lui appunto per questo gruppo, il Gruppo Abele. E poi da anni si è molto dedicato a Libera che è questa associazione contro le mafie. E lui diceva, “Se io vengo sospeso a divinis non ho lo stesso peso che ho ora. Da prete scomodo, posso fare tante cose. Da non prete no, per cui devo accettare questa imposizione.” Poi lui è uno molto libero, è una persona molto libera, quindi ha sempre espresso il suo parere. Però ecco che formalmente fosse a capo di questa associazione non andava bene. E la Chiesa si, è vero, lo sai anche tu, aveva ancora forte influenza sul governo italiano. Allora ne aveva anche di più, perché c’era la Democrazia Cristiana, che era proprio il partito di riferimento per la Chiesa. E però non tutti con lo stesso atteggiamento. Ad esempio, era diverso l’atteggiamento che ebbe Rosy Bindi, anch’essa democristiana, che è stata ministro della Sanità, da quello che aveva Carlo Donat Cattin, che pure Donat Cattin era della sinistra democristiana, cioè veniva dal sindacato, era–però con la Bindi, ad esempio, discutendo, abbiamo avuto dei tavoli e abbiamo discusso, abbiamo collaborato. Con Donat Cattin assolutamente no. Poi a un certo punto volevano fare una legge che imponeva alle persone sieropositive di dichiararsi per venire in qualche modo controllate. E soprattutto c’era un aspetto riguardante le prostitute. Adesso forse parlerai con lei, con Pia [Covre]. E allora c’erano anche i socialisti al governo, non ricordo se Craxi, che era il capo del Partito socialista fosse capo del governo, ma facemmo un incontro, Franco lo ricorda meglio di me, con Claudio Martelli, che allora era probabilmente ministro della Giustizia, non sono sicurissimo. E il quale dice, si, bisogna fare questa legge, noi dicevamo, no, guarda che è un errore. Oltre che lo stigma che tu punti sulle persone, ma anche perché l’effetto sarà quello che dopo non si faranno più le analisi per cui tu avrai delle persone in giro che saranno sieropositive senza saperlo. Allora lì scattò, capì la cosa e non fecero quella legge, non so se per questo motivo o per altre ragioni, però lì, disse, “Avete ragione, la legge è sbagliata,” e non la fecero. C’era, non so se fosse una legge, probabilmente era una direttiva, insomma, che impediva alle persone omosessuali di dare il sangue per le trasfusioni.

Rachel Love: [00:48:24] Da noi c’è ancora.

Beppe Ramina: [00:48:25] Sì, da voi, negli Stati Uniti?

Rachel Love: [00:48:29] Negli Stati Uniti, sì.

Beppe Ramina: [00:48:30] Perché tu sei un po’–

Rachel Love: [00:48:31] Cittadina del mondo. No, ma negli Stati Uniti c’è [ancora]. Adesso hanno cambiato leggermente, se hai fatto sesso entro tre mesi o qualcosa, non puoi donare il sangue, ma solo per i maschi che fanno sesso con maschi. Non per gli etero.

Beppe Ramina: [00:48:54] Non per tutti.

Rachel Love: [00:48:54] Sì. Una cosa pazzesca.

Beppe Ramina: [00:48:55] Perché è diverso. E quindi anche su questa discriminazione ci siamo dovuti battere a lungo. E sì, altre cose di questi livelli di irrazionalità da parte di chi avevi al governo, della cosa pubblica nell’affrontare questa vicenda. Quella vicenda, come può essere oggi il Covid, ieri era l’HIV, dovevi affrontarlo razionalmente. Invece sono entrati in gioco tutta una serie di pregiudizi e di disvalori o valori, insomma, chiamiamoli come vogliamo, che impedivano di vedere qual era la realtà. Sì, poi c’era anche tantissima confusione. Ricordo che per un periodo ho lavorato a Roma all’ARCI e aveva costituito un telefono per le persone che volevano chiedere informazioni, perché anche su quello da parte dell’autorità pubblica non c’erano strumenti, quindi la gente non sapeva a chi rivolgersi, e arrivavano le telefonate più assurde, cioè di persone che non avevano avuto rapporti sessuali o intimi, ma che avevano incontrato una persona che forse era stata in Africa e ti chiedevano se fossero a rischio. Cose sì che nascono dall’ansia, però sulle quali non c’era un governo dell’informazione, anzi l’informazione incrementava questa ansia, questa difficoltà. Si fecero naturalmente tantissime iniziative pubbliche in tutte le città d’Italia, da Nord a Sud, sia come Lila sia come Arcigay. E insomma ci fu anche una risposta molto buona, per cui, diciamo, c’era una parte della società che si mobilitava per cercare di portare a razionalità tutta la vicenda, e non da parte delle istituzioni che facevano il contrario. Questo anche assieme alla Chiesa cattolica, perché per la Chiesa cattolica il problema era la sessualità, quella andava proibita. E poi devi essere casto. Non vuoi avere possibilità di infettarti? C’è una soluzione. Castità.

Rachel Love: [00:51:50] E siamo contenti.

Beppe Ramina: [00:51:53] È vero. In effetti se sei casto non ti fai le pere. E tu hai previsto anche un incontro con Diego Scudiero?

Rachel Love: [00:52:09] Si, stasera.

Beppe Ramina: [00:52:10] Che Diego, anche lui molto competente, lui molto più di me. Sì, sì, sì, perché poi lui ha proseguito, insomma, ancora oggi si occupa di queste questioni.

Rachel Love: [00:52:25] Eh, c’è un’idea, magari anche vera, che è in Italia le persone sieropositive erano soprattutto persone che usavano sostanze. Anche questo ha avuto un impatto su–

Beppe Ramina: [00:52:41] Sì, devo dirti che qui a Bologna abbiamo avuto un rapporto molto buono con il Sert, che è il servizio per le persone tossicodipendenti. Non so dirti la sigla esattamente cosa corrisponde.

Rachel Love: [00:53:00] S E R T?

Beppe Ramina: [00:53:01] Sì. E lì c’era un gruppo abbastanza folto, insomma, di persone sieropositive, problematiche perché erano sieropositive e tossicodipendenti, insomma. Che però per un periodo ebbero un ruolo protagonista, anche perché c’era un direttore di quel Sert che era molto sensibile, insomma, a questa cosa, e purtroppo non mi ricordo il nome– Diego, lo ricorda sicuramente, è più giovane. E con loro per un lungo periodo abbiamo lavorato assieme. Poi c’è un gruppo anche di donne. Si chiama ADA, Associazione Donne AIDS, Corinna Rinaldi, che è grande amica anche di Diego. E quindi c’erano diverse realtà, ecco, appunto l’ADA, c’era il gruppo del Cassero che si chiamava GASP! per un periodo, credo volesse dire Gruppo di Azione Salute e Prevenzione. C’era il telefono amico che c’è ancora oggi al Cassero che nacque prima come telefono per persone gay e poi si trasformò anche in consulenza per l’AIDS. E c’era la Lila, c’era una serie di SERT, appunto, c’erano una serie di realtà che si sono mosse qui in città bene e per un lungo periodo. E credo che anche adesso non so se probabilmente Diego si ricorda perché ci fu un periodo anche con casa alloggio per persone transessuali che è stata chiusa, credo di anni recentissimi. E però non ricordo se fosse dedicato specificatamente alle persone con Aids o se invece fosse in generale per persone senza alloggio, senza mezzi. Insomma, questo non te lo so dire.

Rachel Love: [00:55:30] Era di qualche associazione quello?

Beppe Ramina: [00:55:35] MIT. […]

Beppe Ramina: [00:55:44] Diciamo la leader attuale, Porpora, Marcasciano, che è anche consigliere comunale, ti potrà dire molte cose.

Rachel Love: [00:56:38] C’è un esempio di una collaborazione che avete fatto insieme, per esempio con SERT?

Beppe Ramina: [00:56:57] Si con SERT, sì, Diego te la racconta benissimo. È che proprio non me le ricordo le cose nel dettaglio me le ricordo un po’ larghe.

Rachel Love: [00:57:12] Sì.

Beppe Ramina: [00:57:13] Però i dettagli li ricordo sempre molto male e quindi. […] Con loro si fa una collaborazione molto lunga e fruttuosa, anche con le istituzioni. Anche con l’istituzione del Comune di Bologna ci fu una lunga collaborazione, con la Regione. E diciamo qui a livello locale i rapporti furono diversi che non a livello nazionale perché era diversa l’impostazione politica, insomma. Poi anche da un certo punto di vista il fatto che qui ci sia il Cassero, ci sia stato tutto un movimento negli anni 80 per arrivare a quella sede che ha modificato anche molto il punto di vista delle istituzioni. Quindi ha creato un’attenzione più accorta, diciamo, su queste tematiche. Però, qui i rapporti sono stati buoni, non sempre eccezionali, dibatto c’è sempre stato, il confronto c’è sempre stato. E d’altra parte anche il MIT, cioè il movimento italiano transgender–C’è sempre MIT, però hanno cambiato il significato.

Rachel Love: [00:58:46] Del T.

Beppe Ramina: [00:58:47] Anche della I, prima era Movimento Italiano Transessuali, adesso significa Movimento Identità Trans. E lavorano in collaborazione con l’AUSL e loro si occupano anche di tutto il percorso di transizione e hanno una sede del Comune. La Lila aveva una sede che era data dal Comune. Cioè c’era una disponibilità a dare spazi e a dare una piccola parte anche di risorse. Quindi il rapporto è stato abbastanza fruttuoso, non è stato di scontro soltanto. Col ministero, come Lila, abbiamo fatto anche manifestazioni sotto il ministero sui farmaci, su queste cose qui. È stato molto più conflittuale, non di confronto positivo, almeno fino a un certo periodo. Poi c’è stato qualche cambiamento anche da parte loro. Sicuramente con l’introduzione dei farmaci si è molto attenuata poi l’attenzione su questo tema, perché oggi mi capita di conoscere persone anche molto giovani, sieropositive, che dici, “Ma come hai fatto nel 2020 a non pensare di utilizzare il preservativo?” “Mi sembrava una persona a posto” e dici, “Vabbè, ti sembrava”–no? Cioè non viene neanche più raccontato, e quindi non c’è una–Cioè prima non lo si faceva per l’ostilità, adesso per indifferenza. È vero che con i farmaci azzeri la viremia, e quindi diciamo i rischi per te e per gli altri sono molto diminuiti. C’è la Prep per chi vuole usare la Prep. E quindi, diciamo, è anche ragionevole essere meno attenti. Però, insomma, prendere farmaci per tutta la vita non è–Io ho messo uno stent l’anno scorso, uno stent alla coronaria, devo prendere dei farmaci antiaggreganti, mi rompo le scatole, spero di smettere. Ecco però. E invece, appunto, anche la Prep prendi tutta la vita.

Rachel Love: [01:01:29] Comunque un peso.

Beppe Ramina: [01:01:31] Eh sì, perché poi non lo so, prendere un farmaco–Sei sano, prendi un farmaco per restare sano. Beh, le industrie farmaceutiche sono contente perché vendere un farmaco a una persona sana è proprio il loro sogno –però per chi preferisce avere rapporti non protetti, c’è anche quello. Quindi così però, dalla metà degli anni 90 in avanti l’attenzione è molto diminuita su queste cose, anche il ruolo delle associazioni è molto più blando.

Rachel Love: [01:02:14] Infatti quando sono arrivata qua e raccontavo alle persone varie cosa stavo facendo mi dicevano sempre, “Ma c’è ancora in Italia l’Aids, l’HIV?” Ma sì, faccio un lavoro di storia. Ma comunque sì.

Beppe Ramina: [01:02:37] Se adesso pensi ai reparti di malattie infettive qui al Sant’Orsola, dove andava Antonio per dire, lì avevano costruito un reparto nuovo di malattie infettive perché era strapieno, cioè era pieno di gente e condizioni anche molto difficili, per cui i medici che lavoravano lì erano stressatissimi, come oggi quelli che lavorano su Covid. Oggi un po’ meno, ma, diciamo un anno fa, erano tutti sotto stress. Cioè c’era anche una situazione allarmante. Oggi che non so quel reparto malattie infettive, a parte il Covid, prima non credo avesse tanta operatività, e quindi c’è molta meno attenzione. E va bene. Però un pochino, magari.

Rachel Love: [01:03:39] Un po’ di attenzione e prevenzioni magari ci vuole ancora. Mi ha colpito questo esempio del tizio che chiama pensando, “Ma ho parlato con una persona dell’Africa…” C’era mai una percezione che la HIV fosse una minaccia straniera o che veniva dall’estero?

Beppe Ramina: [01:04:03] No, diciamo sull’Africa, sì, nel senso che ancora oggi in Centrafrica ci sono delle situazioni molto problematiche, perché i farmaci non ci sono e non c’è neanche l’aspirina.

Rachel Love: [01:04:21] Un discorso di accesso, sempre.

Beppe Ramina: [01:04:22] Se c’è l’aspirina, non c’è l’acqua per berla, per cui lì ancora una situazione allarmante. Ma però allora c’era questo fatto, appunto, che mentre nell’Occidente in qualche modo si interveniva, invece l’Africa, era lasciata alla– così, al caso, insomma. E da lì è stato proprio un disastro, perché intere famiglie e generazioni scomparse, un casino. E quindi questa percezione un po’ c’era però non proprio prevalente. Prevalente perché–i busoni, e cioè finocchi, froci, omosessuali ecc. Quelli erano–

Rachel Love: [01:05:17] I pregiudizi erano più basati su quello.

Beppe Ramina: [01:05:20] Sì. E poi i tossicodipendenti. Lo stigma era su queste due popolazioni e sulle prostitute. Per sulle prostitute c’è sempre il fatto che gli italiani fanno finta di non conoscere il mondo della prostituzione, poi lo frequentano. È sempre così. Ma negli Stati Uniti c’è ancora una mobilitazione sull’Aids?

Rachel Love: [01:05:51] Manca anche da noi, penso. Però c’è anche da noi questa percezione che sia una cosa del passato. Comunque le persone muoiono perché– anche vista la mancanza della sanità pubblica. C’è sempre il discorso dell’accesso delle persone che non possono fare il test, non hanno accesso ai farmaci, per cui sì, è ancora un problema. Però l’attenzione si è molto diminuita. Quelli con l’assicurazione medica, con soldi possono prendere il Prep. C’è questa distanza grande tra le condizioni, diciamo. […] Insomma, è sempre una questione di accesso.

Beppe Ramina: [01:06:48] Ricordo che ci fu, non ricordo se la prima o la seconda elezione di Obama, che fece diversi spot televisivi proprio sulla questione del healthcare. E insieme a queste famiglie che raccontavano, “Io ho un tumore, però non posso andare in ospedale.” Sono situazioni che per chi vive in Italia sono incredibili, ti chiedi come sia possibile che una persona ammalata non venga curata se non ha i soldi.

Rachel Love: [01:07:13] Non sembra un paese civile. Ancora si parla– la legge di Obama, anche discussa tantissimo, ma–

Beppe Ramina: [01:07:25] Solo in parte è stata approvata. Ma anche in Gran Bretagna credo che il servizio sanitario sia molto diminuito rispetto–dalla Thatcher in poi, perché ogni tanto vedo una trasmissione televisiva che si chiama Malattie imbarazzanti ed un gruppo di medici, non so, che girano con una–l’hai mai vista?–con camion che è una clinica mobile e anche in Inghilterra e arriva della gente che dice, “Ho questa gamba, guarda qui,” con delle ulcere e delle cose terrificanti. E dici, “Ma perché non è andato all’ospedale?” E si scopre che non poteva andarci, cioè che su quelle cose lì non c’è un’assicurazione pubblica. E dire che è nato lì il servizio sanitario nazionale, è nato in Gran Bretagna. Noi ce l’abbiamo dagli anni 70, non da sempre.

Rachel Love: [01:08:33] Arriva l’anniversario, mi sa, del NHS. Infatti che c’è questa voglia di tagliare–

Beppe Ramina: [01:08:45] Privatizzare tutto. Hanno in Gran Bretagna privatizzato molte cose. E adesso ricordo un film di Ken Loach, non so se lo conosci, è un regista britannico molto di sinistra, molto radicale e fece un film qualche anno fa su un tipo che aveva avuto un attacco cardiaco. Non poteva più lavorare. Però per avere il contributo doveva dimostrare che era andato a chiedere lavoro ma non glielo avevano dato. Lui va dove gli viene indicato e lo assumono. E lui dice, “Ma io non posso lavorare perché ho questo cuore che è malandato.” Ma poiché è lui che rifiuta il lavoro non gli danno l’assistenza.

Rachel Love: [01:09:42] È colpa sua.

Beppe Ramina: [01:09:44] Una cosa pazzesca.

Rachel Love: [01:09:48] Di Kafka.

Beppe Ramina: [01:09:49] Infatti alla fine muore nel film. Però dici, “Veramente la Gran Bretagna è in questa condizione?”

Rachel Love: [01:10:01] Spaventa.

Beppe Ramina: [01:10:03] E son tutte agenzie private queste.

Rachel Love: [01:10:06] Speriamo bene. Chi lo sa, nel futuro vedremo.

Beppe Ramina: [01:10:12] Anche qui ci provano, eh?

Rachel Love: [01:10:14] No, infatti perché costa sostenere le persone.

Beppe Ramina: [01:10:17] Vabbè paghiamo le tasse. Le pago volentieri.

Rachel Love: [01:10:23] Per avere una società che si prende cura degli altri, magari ci vuole.

Beppe Ramina: [01:10:32] Ma serve anche alla società perché più coesa e più forte. Funziona meglio, anche da un punto di vista capitalistico. Funziona meglio. Però vabbè.

Rachel Love: [01:10:46] Mi controllo di nuovo. Ma forse io avrei finito la lista di domande. Non so se c’è qualcosa che tu ritenga–

Beppe Ramina: [01:11:02] Io sono solo felice che abbiamo finito. Va bene.

Rachel Love: [01:11:11] Spengo.


Transcript of interview on 7 April 2022.

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