Interview with Diego Scudiero

Friday 30 September 2022

Diego Scudiero was born in Cittadella (PD) in 1960. He served as president of the “Circolo 28 giugno” between 1982 and 1985 and as an activist in LILA Bologna.


Rachel Love: [00:00:00] Allora io sono Rachel Love, sono qua con Diego Scudiero, e siamo al 7 aprile del 2022, così per cominciare. Mi racconteresti un po’ del tuo arrivo a Bologna e magari l’inizio del tuo attivismo politico nel mondo gay?

Diego Scudiero: [00:00:29] Sì. Io sono arrivato a Bologna nel 1980 e il mio punto di origine era il nord est dell’Italia, in particolare il Friuli Venezia Giulia, una regione culturalmente depressa, se così posso dire, quindi poco interessante per me, con tutto il rispetto di chi ci vive, si trova bene. Per me, però, poco stimolante e poco interessante. Quindi quando ho finito le superiori ho puntato a Bologna perché era invece una città molto vivace, culturalmente, molto politicamente viva. E anche perché in quegli anni Lotta Continua, che era un quotidiano della sinistra extraparlamentare cosiddetta, il giovedì, se non vado errato, pubblicava delle pagine frocie—la parola ti è chiara, è conosciuta? Perfetto—dove metteva quel poco, diciamo, che in Italia stava succedendo. In quell’epoca c’erano alcuni collettivi, tra cui a Bologna e in altre poche città italiane. E quindi questa cosa di poterci arrivare, per me la più vicina è la Bologna, mi entusiasmava particolarmente. E quindi quando sono arrivato a Bologna ho subito cercato il collettivo che si chiamava Circolo Culturale 28 Giugno e quindi sono entrato nel 1980 all’interno dell’Associazione Culturale 28 Giugno. E da lì è partita la mia militanza, il mio attivismo all’interno del movimento. Ecco, movimento è una parola grande, nel senso che nel 1980 eravamo quasi un gruppo, considerato anche in Italia non c’erano così tanti attivisti. Però l’inizio di un movimento che poi è proseguito ovviamente negli anni a Bologna con la consegna da parte del Comune di Bologna nel 1982 una sede pubblica, il Cassero di Porta Saragozza, che forse hai visto, e che è un posto molto affascinante perché è una porta di Bologna, quindi a noi era piaciuto moltissimo. Anche se questo percorso era stato un percorso non sempre o non totalmente condiviso dal Movimento in quegli anni. Il problema, comunque, sono anche le questioni legate alla opportunità di interloquire con le istituzioni oppure di rifiutare le istituzioni. Era un dibattito abbastanza acceso. Noi avevamo assunto evidentemente una posizione che diceva, “No, noi siamo titolari di diritti, quindi pretendiamo i nostri diritti, le istituzioni ce li devono garantire. Questa non significa che siamo complici delle istituzioni.” E quindi mi sono trovato in questo modo a Bologna.

Rachel Love: [00:04:58] E invece, diciamo 2 o 3 anni dopo, cominciavano ad arrivare le notizie dell’Aids?

Diego Scudiero: [00:05:10] Sì, sì. Avevamo appunto aperto il Cassero, che era un centro dove dentro c’era un bar e c’era un centro di documentazione e nel 1983, ’84, insomma, a cavallo di quegli anni iniziavano a essere presenti anche in Italia casi di persone con HIV. All’epoca non si chiamava HIV comunque, insomma, ma la presenza dell’Aids si iniziava a sentire in Italia con una caratteristica che vedeva molto coinvolte anche le persone che facevano uso di sostanze stupefacenti per via iniettiva, che è stato ed era insomma il gruppo di popolazione forse all’inizio più colpita o comunque altrettanto colpita quanto le persone omosessuali che facevano sesso con altri uomini. E nella fine ’83, inizio ’84, iniziamo appunto aprendo al Cassero un centralino telefonico, una linea dedicata all’ascolto. Sottolineo all’ascolto, perché in quegli anni le informazioni non erano tantissime e quindi l’azione era più di ascolto o comunque di, diciamo così, riordino delle informazioni, di rimessa un po’ in ordine delle informazioni che i mass media in qualche modo veicolavano, ovviamente, in una dimensione di panico sociale, per capirci. E quindi all’inizio questo è stato un po’ il primo tipo di intervento che poi si è strutturato anche con interventi più di carattere informativo, con volantini, dépliant, cercando in qualche modo di fornire un’informazione la più corretta possibile, in modo da contenere in qualche modo le paure più irrazionali. Ecco.

Rachel Love: [00:08:16] In questi primi anni cercavate le informazioni anche all’estero, se mancavano in Italia?

Diego Scudiero: [00:08:26] Sì, anche se con grande difficoltà. Nel senso che, il cambio che c’è stato negli anni ’90 con l’ingresso di Internet, ovviamente negli anni ‘80 non c’era. E quindi una comunicazione molto complicata, non immediata ma sicuramente necessaria. Necessario il fatto di riuscire, con molte difficoltà, però, a costruire un minimo di rete. Gai pied, un giornale francese, era sicuramente un punto di riferimento. Ecco, lo è diventato poi Deutsche Aidshilfe in Germania, anche se forse nato qualche anno dopo dell’84, adesso non ricordo con precisione, però. La possibilità di scambiare con amici che abitavano negli Stati Uniti. Ovviamente sì, c’è stato la necessità di farlo con, ripeto, molte difficoltà legate agli strumenti che in quel periodo si utilizzavano.

Rachel Love: [00:10:06] Sì, e poi a qualche punto c’è stata la decisione di formare la Lila.

Diego Scudiero: [00:10:14] E sì.

Rachel Love: [00:10:15] E cosa erano le motivazioni ai tempi? Sembra ovvio, magari, però—

Diego Scudiero: [00:10:22] No, no. Dunque c’era la necessità di trovare uno spazio più ampio di opposizione a quella che era l’informazione e una richiesta sociale di forte condanna. E quindi ci siamo resi conto, assieme ovviamente ad altri, che bisognava costruire un fronte ampio, largo anche per la caratteristica che dicevo prima, cioè il fatto che fossero coinvolte persone che facevano uso di sostanze per via iniettiva. Questo oggi si chiamerebbe intersezionalità, credo, cioè la necessità di non essere chiusi nel proprio spazio, ma di poter costruire connessioni, relazioni più ampie. E quindi, assieme al Gruppo Abele, che è un’associazione di Torino, il cui presidente era Luigi Ciotti, un prete cosiddetto di strada, che lavorava molto sulle tossicodipendenze assieme ai sindacati, alla CGL, alla UIl e in particolare a Medicina Democratica, che era una organizzazione di medici di sinistra, del movimento insomma, abbiamo dato vita alla Lila, Lega italiana per la lotta contro l’Aids. Va precisato questo. Nel 1984 in Italia è nato Arcigay che è l’associazione di carattere nazionale che aveva federato una serie di circoli in tutta Italia. Insomma, quelli che all’epoca esistevano non erano così diffusi, però insomma. Arcigay è stata protagonista all’inizio e ha dato vita alla [Lila] , ma poi ha in parte gestito autonomamente anche gli interventi rispetto a HIV e all’Aids. Lo dico perché, appunto, questo ha forse reso un po’ più complesso. Ecco, diciamo, se penso al modello tedesco, dove Deutsche Aidshilfe ha gestito complessivamente, in Italia non è stata proprio così. La Lila ha gestito e ha portato avanti, però ci sono sempre stati anche altri soggetti che in qualche modo si sono mossi in questa direzione.

Rachel Love: [00:13:50] Questo ha reso la situazione un po’ più complicata?

Diego Scudiero: [00:13:53] Sì, non so se è più complicata, certo più articolata, ovviamente. Penso che sia utile sottolineare una cosa che è questa. Poi se sto vagando—.

Rachel Love: [00:14:17] Va benissimo, no. La mia idea dell’intervista è più vagare meglio è. Perché così si arriva alle cose magari meno conosciute e belle.

Diego Scudiero: [00:14:33] Va tenuto presente questo che, come dicevo prima, nel 1982 viene assegnata una sede a un circolo omosessuale, un fatto nuovo in Italia. Nel 1984 viene fondato Arcigay. Quindi questi due elementi danno l’idea di un movimento, di un gruppo di persone che io chiamo movimento ma al di là della quantità, in fase euforica, cioè nella gioia dell’aver avuto una sede, del veder crescere circoli, del veder di aumentare la visibilità delle persone omosessuali e di quindi riuscire ad affermare i temi, la rivendicazione dei diritti. Dentro a questo, a questa euforia, a questa gioia, arriva l’Aids. Che è esattamente l’opposto. Cioè che è la morte, soprattutto in quegli anni. Ora le due cose non riescono a stare assieme, no? Insomma, molto difficilmente. Quindi, diciamo così, Arcigay ha, pur tenendo dentro la tematica, ha però sostenuto più l’enfasi euforica, la costruzione di circoli, il rafforzamento del movimento, ripeto, in un periodo molto, molto, molto complicato. E quindi l’Aids era uno dei temi che stavano nell’agenda di Arcigay, mentre la Lila nasce su un tema specifico e monotematica, ha quello come obiettivo. Questo ha reso più articolato in questo senso il panorama.

Non so, voglio dire, non ho modo di sapere cosa sarebbe successo con ipotesi diverse. Quello che però per me, nella mia percezione, è successo è stato un po’ questo. Per cui i nuovi circoli che si stavano costruendo che stavano nascendo non potevano non avere il tema HIV/AIDS al loro interno, ma certo non era quello il tema, la questione sulla quale stavano cercando di aggregarsi e di fare politica. E quindi con molta fatica lo tenevano dentro. In questo la Lila ha cercato di fare un po’ da ponte, da mediazione tra questi due sentimenti di gioia e di tristezza che erano comunque presenti all’interno del movimento in quegli anni. Questo è un po’ il punto, secondo me, che differenzia rispetto ad altri contesti, ad altre nazioni. La particolarità—in Germania non c’è un movimento, cioè non c’è una sigla gay che raggruppa, in Inghilterra nemmeno, in Grecia non lo so, però credo di no anche lì. Cioè in Italia invece in quegli anni c’era Arcigay che era un’associazione nazionale, in qualche modo, non gruppi separati.

Rachel Love: [00:19:00] E questa ipotesi potrebbe spiegare anche la mancanza di un gruppo come ACT UP in Italia?

Diego Scudiero: [00:19:08] Sì. Sicuramente sì. Perché l’attivismo—Ci sono due motivi. Sicuramente uno è questo, cioè il fatto che il movimento gay non sia stato così presente rispetto alla tematica. E l’altra componente che è la presenza, cioè che l’epidemia fosse molto diffusa anche tra le persone che facevano uso di sostanze iniettive, spezzava un po’ in due blocchi, diciamo, per cui io credo di sì, che questo sia stato— cioè nell’esperienza di Arcigay, che non critico, voglio dire, cerco semplicemente di capire e di guardare con—io ne sono stato parte, quindi non è che—però provo ad analizzare con il senno del poi le cose. Ecco, vorrei fosse chiaro, questo non è una critica, la mia. Però ecco, diciamo nell’esperienza di Arcigay mancano i passaggi, ad esempio legati all’auto-aiuto. I gruppi di auto-aiuto dentro ad Arcigay non ci sono stati. I gruppi di auto-aiuto sono stati in parte quelli che, almeno nell’esperienza della Lila ma anche, sembra di capire, in altre esperienze, quelli che hanno dato poi vita a un processo di empowerment e quindi alla capacità di passare ad un attivismo, come dire, più attivo. Arcigay ha fatto un intervento informativo, sicuramente. Ha distribuito profilattici, sicuramente, no? Ma non ha volto quel pezzo invece di relazione, chiamiamolo in senso generale, di relazione che invece avrebbe aiutato percorsi di empowerment. Chiamiamolo così, lo prendo a prestito da voi questa parola. E quindi non ho bisogno di spiegartela.

Rachel Love: [00:21:59] Sì. E le prime attività della Lila?

Diego Scudiero: [00:22:05] Allora anche la Lila è una federazione, quindi io parlo soprattutto di Lila Bologna, che è quella che conosco ovviamente. Beh, le prime attività della Lila anche lì sono state sicuramente di informazione. E sicuramente di ascolto e di accoglienza nel senso di non fermarsi ad un ascolto telefonico, ma invitare le persone a venire che era un’operazione molto complicata, perché la visibilità e la paura di essere riconosciuti e di magari incontrare qualcuno che conoscevi, così via. Ma era però l’unico modo per poi arrivare alla costruzione di gruppi di auto-aiuto che era un po’ il nostro obiettivo. Avevamo capito dalle esperienze estere, ma anche dall’esperienza fatta in Italia dalla psichiatria, ad esempio degli anni ’70, da Basaglia in poi. Basaglia è stato quello che ha, come dire, chiuso i manicomi in Italia, ecco, la legge cosiddetta Basaglia. Quello strumento, adeguato, modificato, ovviamente usato non rigidamente, poteva essere uno strumento di supporto, di rottura di un’idea di isolamento che invece era molto presente, che era un po’ la storia simile ai percorsi di coming out. Cioè nel senso che io quando ho pensato che ero omosessuale, non dico che ho pensato che fossi l’unico al mondo, ma certo ho pensato sono l’unico nel mio Paese. Cosa non verificata, non vera. Però l’idea di essere un po’ tu da solo, isolato, così. E quindi il primo passaggio è stato questo. Ed è stato un passaggio anche molto faticoso perché noi come Lila abbiamo scelto di fare gruppi misti, cioè con persone che facevano uso di sostanze e con persone omosessuali, che non sempre si vogliono bene, non sempre. Quindi c’era, come dire, quasi un doppio obiettivo, quello di tenere un gruppo—perché ovviamente le persone sono tra di loro diverse e le persone omosessuali non per questo sono tolleranti verso le persone tossicodipendenti o le persone tossicodipendenti non necessariamente perché condividono una patologia si sentono a loro agio.

Però per noi era una scelta—insomma, non volevamo fare gruppi separati, ci sembrava un elemento ancora più discriminante, come dire, che non ci piaceva e quindi un po’ questa è stata l’inizio. Oltre a un forte impegno sociale rispetto alla difesa dei diritti, sul quale anche Arcigay si è molto—perché, ovviamente noi nel 1988 il Ministro della Sanità di allora, Carlo Donat-Cattin, democristiano cattolico, mandò a tutte le famiglie italiane una lettera informativa dicendo l’Aids se lo prende chi se lo va a cercare, stigmatizzando fortemente. E c’era da contrastare anche una forte richiesta di test obbligatorio che era molto, molto pressante. C’era da essere presenti nei luoghi di lavoro perché i datori di lavoro spesso chiedevano appunto il test. In questo, diciamo così, la presenza in Lila del sindacato ci ha molto aiutato. Ha aperto la strada ad entrare nelle fabbriche, a spiegare agli operai e alle operaie di che cosa stavamo parlando, di quali erano realmente i rischi. E poi tutto, vabbè, la parte sociale che immagino sia, anzi sono certo, uguale più o meno in tutto il mondo, per cui i bambini a scuola, le piscine. E quindi questo fronte di tenuta dei diritti è stato davvero molto importante. E in quel caso è stato molto importante sia la presenza di un’organizzazione come Arcigay, sia la presenza dentro o fuori di Lila di altri ambiti soprattutto per non renderla quasi una difesa sindacale, quasi di categoria, no? C’era quindi essere riuscito ad allargare ad altri gruppi. La compattezza nel difendere i diritti è stato molto importante.

Rachel Love: [00:28:58] Eh sì. E avete mantenuto sempre questi gruppi misti di auto aiuto?

Diego Scudiero: [00:29:06] Sì, abbiamo sempre mantenuto nel tempo—non solo Lila Bologna ma anche le altre sedi hanno mantenuto questi gruppi. Sì, forse qualcuno lo abbiamo perso in questo modo, ovviamente, però è stato molto importante, perché lo scambio non avveniva solo—parlo degli anni ‘90, fine anni ‘80, inizio anni ‘90, per intenderci—lo scambio era più diluito non solamente sul concetto del “Morirò,” no? Ma trovava spunti anche su “Chi sei tu? Chi sono io? Parliamoci.” Che un po’ diluiva la pesantezza di una conversazione che altrimenti sarebbe stata molto, molto più centrata sull’elaborazione della morte. Non voglio usare—però questo era, voglio dire, in quegli anni, non è che c’erano le terapie e quindi i vissuti erano vissuti di morte. Ovviamente la diagnosi la facevano i medici, ma la prognosi la facevano i giornali e [per] i giornali l’Aids era la morte. Questo era il concetto—Per cui sì, in questo senso sono stati mantenuti, e secondo me, a ragione.

Rachel Love: [00:30:59] Cioè ha funzionato.

Diego Scudiero: [00:31:02] Sì, sì, sì. Altre associazioni, ad esempio ASA di Milano, che è un’associazione fondamentalmente gay, gestiva gruppi gay. Il che non vuol dire che non abbiano funzionato anche quelli. Però nella nostra storia non avremmo potuto escludere qualcuno e non ci piaceva l’idea di fare gruppi separati.

Rachel Love: [00:31:28] Magari anche perché la Lila era già una lega di diverse organizzazioni, associazioni.

Diego Scudiero: [00:31:39] Esatto. Certo, così.

Rachel Love: [00:31:45] Se posso chiedere una domanda personale perché ti sentivi chiamato da questa lotta?

Diego Scudiero: [00:32:03] Sì, sì. Me lo sono chiesto. Non so se ho la risposta. Però diciamo che era perché mi sentivo siercoinvolto in qualche modo. No? Cioè era una situazione che coinvolgeva la mia comunità, i miei amici, indipendentemente dal mio stato sierologico. In questo senso intendo sierocoinvolto, cioè era una pandemia che mi riguardava, mi riguardava direttamente e sulla quale non volevo girare la testa solo perché ero stato più fortunato di altri nel non prendere il virus. Questo, come dire, non era una lotteria, quindi non avevo vinto niente. Avevo semplicemente, senza capire il perché, scansato un virus, ma questo non voleva, non mi sminuiva di farmene carico, assieme agli altri, ovviamente. Inizialmente un po’ penso sia stata questa, diciamo, la cosa che mi ha spinto a intraprendere questo percorso, questa militanza, questo attivismo, chiamiamo come vogliamo.

Rachel Love: [00:33:53] E poi è cambiato con il tempo? Perché hai detto “all’inizio.”

Diego Scudiero: [00:33:58] Con il tempo? No. È cambiato? No. In termini di motivazioni no. È cambiato, però, nel senso che standoci dentro è diventato uno scambio ancor più forte, una discussione molto presente. Non tanto sul perché. Però dentro ad un’associazione mista, dove ci sono persone sieronegative, persone sieropositive, il dibattito da questo punto di vista è stato in Lila davvero molto forte e a volte lacerante. Perché noi partiamo da una cultura della cura. Che vuol dire? Io mi prendo cura di te, che è una bella cosa. Ma dentro a questa frase c’è, “Io sano, mi prendo cura di te malato.” Questa è la traduzione esplicita, come dire, allargata di una frase sintetica. E questo crea, ha creato molti conflitti all’interno della Lila, per me appassionanti, che mi hanno tenuto lì, perché volevo capire, volevo approfondire con un tema, soprattutto rispetto agli anni ’90. Cioè parliamo, appunto di una situazione prima delle terapie, quindi dove la malattia era molto presente e dove, per come è nata la Lila anche, c’era un meccanismo di rappresentanza, no? Io rappresento i tuoi interessi. Che non è brutto in sé. Però la rappresentanza impedisce l’auto-rappresentazione, no? “Io voglio auto rappresentarmi,” era la risposta dall’altra parte, comprensibilmente, con anche però una dinamica che ha a che vedere con la prassi politica. Voglio dire, se io non vivo il problema, e in quegli anni viverlo, ripeto, significava averlo proprio molto dentro, io posso permettermi di avere una prassi politica riformista. Ok. Se non riesco oggi, ci provo domani. Se però io ho una sensazione che io non avrò un domani, ho bisogno di avere oggi quel diritto, non domani. Che diciamo, riassumo in atteggiamento rivoluzionario, consentimelo, nel senso in contrapposizione al riformismo. Semplicemente per semplicità. Non sto dando categorie troppo pensate, giusto per capirci.

Rachel Love: [00:37:37] C’è un’urgenza.

Diego Scudiero: [00:37:38] L’urgenza, cioè il bisogno di fare la rivoluzione ora, adesso, non scrivendo una lettera, non domani, non dopodomani. Ho un’urgenza forte che il mio corpo mi definisce, non la mia ideologia, non la mia posizione politica. Il mio corpo mi dice tutti i giorni, “Guarda, boh. Domani non so.” Quindi dentro a un’organizzazione mista queste due anime non sono sempre in armonia, cioè si creano conflitti e si sono creati conflitti ovviamente, sì. Non significa che non siano affrontabili, però sarebbe stupido far finta di nulla. E questo è stato per me il periodo e il momento, diciamo così, da un lato più appassionante, una parola un po’ così, e dall’altra che mi ha confermato, come dire, la scelta di una presenza lì, a fare la controparte, a recitare il mio ruolo, ma non perché fosse quello giusto, ma perché solo in questa dinamica dialettica mi sentivo crescere, crescere me e crescere l’associazione e il nostro progetto complessivamente.

Rachel Love: [00:39:26] Sembrava una vocazione.

Diego Scudiero: [00:39:28] No, il richiamo della vocazione è un po’ cattolico.

Rachel Love: [00:39:35] È vero, è vero, hai ragione.

Diego Scudiero: [00:39:37] Poi però sì, diciamo così.

Rachel Love: [00:39:42] Hai ragione. Ma usavate materiali da altri paesi? Tipo c’era un bisogno di tradurle anche in modo culturale nel contesto italiano?

Diego Scudiero: [00:40:04] Sì, sì, abbiamo molto usato materiale di altri paesi. E con una necessità di tradurlo non solamente da un punto di vista linguistico, ma anche da un punto di vista culturale. Noi eravamo culturalmente distanti dall’organizzazione dal Terrence Higgins Trust, cioè dalla organizzazione tedesca, dalla Deutsche Aidshilfe che riceveva soldi dal governo. Noi non ci ricevevamo soldi da nessuno. E anche da un punto di vista, diciamo così, del materiale più specifico c’era sempre—ma questo immagino sia abbastanza normale, c’è la necessità di adattarlo, non solo tradurlo appunto linguisticamente, ma adattarlo a quello che è il tuo contesto culturale e sociale. Però assolutamente sì. Assolutamente sì. Noi eravamo molto dipendenti da tutto ciò che ci arrivava e anche molto interessati a tutto ciò che arrivava dall’estero, ma non in forma indiscriminata. Cioè cercavamo di capirlo, ovviamente. Ti ripeto, le grandi associazioni, Terrence Higgins Trust, Deutsche Aidshilfe, e AIDES in Francia, appunto, dal momento in cui sono nate, sono comunque diventate per noi punto di riferimento, di scambi, di analisi, di verifica. E utili, abbiamo utilizzato anche loro materiale. Sicuramente un paio di manifesti della Deutsche Aidshilfe che ci sembravano più carini rispetto ad altri, ma anche proprio copiando.

Rachel Love: [00:42:16] Ho visto infatti un manifesto al Cassero—sto guardando le carte al Cassero—un manifesto in cui c’era il tuo nome, che parlava di una serata di spot di altri paesi, tipo anti-Aids. Era una serata di visione di questi spot.

Diego Scudiero: [00:42:40] Ah sì, può essere, sai che non mi ricordo, però sì, al Cassero ho fatto molte cose perché appunto c’è un legame. Quindi sì, sì.

Rachel Love: [00:42:50] E potresti raccontare anche delle esperienze di andare alle conferenze? Ho visto anche oggi al Cassero un articolo di Babilonia su una conferenza a Stoccolma nell’88, scritto da Beppe Ramina. E c’era anche il tuo nome. Non so se ti ricordi.

Diego Scudiero: [00:43:17] Brava. Sì, sì, beh, quella era la seconda, terza conferenza mondiale, non ricordo esattamente, comunque una delle prime conferenze mondiali. E fu un’esperienza assolutamente interessante, anche se ancora erano conferenze che vedevano una scarsa partecipazione delle persone con HIV. Però c’era invece una ampia, abbastanza ampia partecipazione delle associazioni di lotta all’Aids, quel che in Italia si chiama Terzo Settore, comunque del volontariato e quindi una possibilità di scambio molto interessante. E ricordo che mi colpì il fatto che in Svezia avevano chiuso le saune. E mi colpì per due motivi: uno perché in Italia non era stato fatto e due perché io volevo andare in sauna arrivato a Stoccolma, cioè arrivi a Stoccolma e, cioè, voglio dire, no? Arrivo dall’Italia e non mi fu possibile. Ma questo voglio dire, lo superai facilmente. Non era un grosso problema. Però, appunto, anche da questo punto di vista questo mi dava l’idea di come, ad esempio, lì anche la comunità gay fosse stata molto, “Giù le serrande! Chiuso!” Qualche anno dopo, non ricordo che ci fosse stato da questo un beneficio particolare. Voglio dire che non necessariamente quella politica era più—però certo, questo un po’ mi aveva colpito. E più in generale, appunto, questa possibilità di scambio de visu di persona con le persone di altre associazioni in giro per l’Europa, oltre che del mondo. Anche questo, però, che ha un approccio che—allora per noi in Italia, succedeva questo, che su un’ipotesi litigavamo tre giorni per metterci d’accordo, chi era a favore, chi era contrario. In quel contesto c’era una modalità, diciamo così, più nordeuropea. Per cui a me il fatto che non servissero tre giorni di litigi per arrivare ad una cosa mi aveva colpito, un’annotazione a margine che non c’entra con l’HIV, però era comunque un elemento che mi aveva colpito. Si mangiava malissimo.

Rachel Love: [00:47:00] Sì. Tipo?

Diego Scudiero: [00:47:01] Tipo io, più o meno tutti i giorni, il salmone che però dopo un po’— è affumicato e questo e quello. Questo lo dico per gioco.

Rachel Love: [00:47:21] Lo so, lo so. Infatti avrei dovuto dire che ho appena parlato con Beppe Ramina questo pomeriggio e lui ha detto la stessa cosa, che l’efficienza nordeuropea l’ha colpito molto.

Diego Scudiero: [00:47:36] Eh sì, sì, perché noi vabbè, l’Italia—adesso io non voglio farla lunga—però l’Italia è il paese dei 100 campanili e della frammentazione, cioè se siamo in cinque, tre non sono d’accordo, fanno un altro gruppo, non cercano una mediazione con gli altri due. E questo po’ secondo me, sì, siamo fatti così, per carità, però un po’ lo si percepisce. Diciamo che non siamo in questo molto bravi.

Rachel Love: [00:48:14] Anche in Babilonia sta emergendo un po’ un tema, da alcuni articoli, c’è un po’ il lamento che l’Italia sia indietro con la lotta contro l’Aids. Non so se [fosse] una percezione condivisa ai tempi.

Diego Scudiero: [00:48:40] Beh, sì, cioè che fosse indietro sicuramente rispetto a un intervento istituzionale, no? Questo sicuramente. Nel senso che prima di pronunciare la parola preservativo in televisione sono passati molti anni. Quindi tutta una comunicazione basata—mai sull’esplicito—ma sull’ammiccamento, sul faccio capire, ma non faccio capire. Certo non aiutava assolutamente alla lotta e la necessità della prevenzione. E anche da un punto di vista sanitaria, non tanto rispetto alle cure, nel senso che quelle, insomma, erano le cure che c’erano. Però a un’idea di sanità che ordina e tu devi eseguire. E che non ha bisogno di spiegarti perché tu non sei medico e quindi non potresti capire. Allora questa, che è una cultura che noi abbiamo, cioè che ci arriva— basta pensare che negli anni ’60 e ’70 in moltissimi dei paesi italiani il sindaco era il medico del Paese. Perché il medico aveva sempre ragione.

Rachel Love: [00:50:27] Autorità totale.

Diego Scudiero: [00:50:30] No? E quindi una difficoltà notevole nell’essere riconosciuti come interlocutori. Ma non solo la Lila, in quanto associazione, soprattutto le persone con HIV, sui corpi dei quali il medico interviene. Allora non è che puoi intervenire sul mio corpo tenendomi all’oscuro, cioè dicendo semplicemente che tu fai il mio interesse. L’interesse lo faccio io. Poi ne discutiamo, capiamo. Allora sicuramente da questo punto di vista un’arretratezza culturale che ha inciso c’è stata. Perché poi molte persone in Italia ancora oggi hanno un po’ questa idea che con il medico sono passive, tra virgolette, in questo rapporto, non proattive. Ma, ripeto, noi ci abbiamo impiegato molti anni prima di riuscire a scalfire un po’ questo atteggiamento e rendere l’attivismo delle persone con HIV più concreto, più visibile, più capace di una auto-rappresentazione completa. Penso che il punto di svolta sia stato nel 1992, Firenze, con un convegno, ’92. Ho qualche appunto per essere più preciso.

Rachel Love: [00:52:12] Che bello.

Diego Scudiero: [00:52:15] 1992, settima conferenza mondiale Aids a Firenze. Esatto, perché c’era stata prima Montreal. Dove ovviamente forse due di noi c’erano, però io no. E che era stata la prima conferenza che aveva visto una presenza massiccia delle persone con HIV e attiva e da attivisti. Quindi a Firenze in continuità erano venute molte persone dei gruppi di attivismo. Noi avevamo strutturato i nostri gruppi di auto aiuto, quindi c’è stata la capacità e la possibilità di incontro. E anche in questo caso l’incontro ha fatto scaturire una maggiore consapevolezza. E da quel momento dentro alla Lila nasce Groups, Gruppo Persone Sieropositive, quindi una forma organizzata interna alla federazione, però che rivendicava in maniera anche verso la federazione, non solo verso l’esterno, un maggior protagonismo, una maggiore presenza, una maggiore possibilità decisionale nei processi sia interni, sia esterni. E quindi Firenze è stato un po’ questa cosa. Su questo se ti può essere utile ho pubblicato su Facebook un po’ di una piccola storia che focalizza un po’ questo passaggio per me molto importante, che magari ti mando così ce l’hai. Non è lunga.

Rachel Love: [00:54:22] Sì, va benissimo. Va benissimo. Grazie. Mi sembra un tema [importante] la visibilità e magari anche la fatica di affrontare spesso due tipi di stigma se sei gay e anche sieropositivo, oppure tossicodipendente e anche sieropositivo. E sembra molto sentita questa cosa.

Diego Scudiero: [00:54:53] Sì, certo. Sì, certo, è in realtà, secondo me, uno dei motivi per cui le persone non dichiaravano la sieropositività era perché questo inequivocabilmente rivelava un altro pezzo, cioè tu davi—in un’informazione ne erano contenute due. Poi è vero che anche molte persone eterosessuali erano sieropositive. Ma il pensiero immediato, se non eri tossico—

Rachel Love: [00:55:33] Il pregiudizio era quello.

Diego Scudiero: [00:55:36] Sì. Ed era un fortissimo pregiudizio, tanto che questo pregiudizio ha messo a dura, molto alla prova, le prime terapie antiretrovirali. Perché le prime terapie antiretrovirali avevano effetti collaterali molto forti, una ridistribuzione del grasso, la gobba di bufalo, insomma, e quindi rendevano visibile, riconoscibile il fatto che tu fossi in terapia. E quindi molte persone non volevano usare le terapie perché non avevano altrimenti capacità, modo per giustificare un viso scavato, o insomma una ridistribuzione del grasso che davvero era molto, molto visibile, non forse in tutti, ma in moltissime persone. E questa è stata una battaglia che hanno fatto gli attivisti e le attiviste con le case farmaceutiche in Europa, EATG [Europeans Aids Treatment Group]. Poi noi siamo riusciti nel tempo a far parte ed entrare anche in EATG. Però già quelli erano anni in cui Internet ti consentiva uno scambio molto più veloce ed immediato e quindi uno dei punti critici proprio è stato questo, no? Una fisicità che immediatamente, così come tu oggi riconosci i tossici, nel senso che per stigma no, lo hai acquisito poi allo stesso modo. E un’altra importante battaglia che è stata fatta anche in Italia dalle persone attiviste è stata quella di tenere dentro alle sperimentazioni e alle terapie le persone tossicodipendenti che normalmente vengono identificate come persone che non vogliono vivere e che quindi non sono compliant rispetto alle terapie, con una sentenza di morte precostituita di una violenza inaudita, cioè che tu possa decidere a prescindere, fosse anche vero, ma che tu impedisca l’eutanasia, ma che poi decida che una persona tossicodipendente non può e non deve assumere le terapie perché tanto—Ecco, questo ha dello sconvolgente. E quindi un altro passaggio importante soprattutto in questo paese, dove appunto le persone tossicodipendenti erano una fascia ampia di popolazione colpita dall’epidemia. Ed è stato grazie all’attivismo, grazie, secondo me a quel percorso che anche in Lila è stato compiuto da Cerco aiuto, auto aiuto e empowerment attivismo. In questo percorso che non è stato soffocato per fortuna dalla Lila. I rischi delle organizzazioni ombrello è sempre un po’ quello, di essere un po’ troppo materne o paterne per non attribuire un genere ad un difetto, a quello che io percepisco un difetto. Cioè di non far crescere, di non voler veder crescere. Di ritenersi sempre in grado di decidere per te, di sapere cosa è il tuo bene, insomma.

Rachel Love: [00:59:47] Prendo curo di te.

Diego Scudiero: [00:59:50] Sì, sì, che è soffocante in molte circostanze, non dico sempre, non voglio essere generalista, ma a volte può esserlo.

Rachel Love: [01:00:03] La Lila ha anche collaborato con i SERT a Bologna?

Diego Scudiero: [01:00:14] Sì. Non con tutti, nel senso che non sempre eravamo ben visti, perché anche lì sono medici. Quindi quando tu entri devi chiedere molto permesso. Però no, abbiamo ovviamente collaborato. C’è stata una collaborazione molto interessante con un servizio per le tossicodipendenze, all’epoca si chiamava SL 27, la città era divisa in più USL, adesso c’è una sede unica, ma all’epoca erano più di una che tra l’altro aveva sede in via Don Minzoni, vicino a dove c’è il nuovo Cassero e dove c’era un gruppo di utenti che aveva fondato un’associazione. Si chiamava Associazione Sole, Solidarietà oltre l’emarginazione, che era un gruppo di utenti che facevano, tra virgolette, un po’ da “sindacato” degli utenti nel rapporto con il servizio. E anche con loro avevamo fatto dei progetti comuni. E anche lì, crescendo nello scambio molto, molto interessante, perché anche quello era un ambito quasi psichiatrizzato. In Italia i servizi per le tossicodipendenze per lungo tempo sono stati sotto il servizio psichiatria, tanto per darti l’idea di dove veniva collocata una dipendenza da sostanza.

Rachel Love: [01:02:05] E c’erano anche campagne di tipo riduzione del danno?

Diego Scudiero: [01:02:14] Sì. A Bologna no. La Lila Bologna direttamente non le ha fatte. Però Lila Milano, Lila Trentino, Lila Catania, Lila Como. Molte altre Lila, sì, facevano, avevano il pulmino, insomma, le unità di strada per le campagne di riduzione del danno e lo scambio di siringhe e una distribuzione di preservativi, dell’acqua, insomma, di quel che serviva. Anche lì, con un po’ di difficoltà rispetto al mondo delle—vediamo come riesco a spiegarmi. Nel senso che esistono servizi in Italia, esistevano, esistono servizi pubblici, poi esistono le comunità di accoglienza che nella stragrande maggioranza sono di area cattolica, ma non vuol dire. E un coordinamento tra queste comunità che si chiama CNCA, Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, che dentro al quale c’è il Gruppo Abele che erano diciamo più aperte rispetto anche ai temi della liberalizzazione delle droghe leggere e così via e che gestiscono comunità in maniera umana, non come San Patrignano. Insomma, diciamo l’alter ego di San Patrignano—non so se lo conosci, se sai che era una comunità—

Rachel Love: [01:04:11] Sì, ho visto il documentario.

Diego Scudiero: [01:04:14] Ecco, ok. Quindi hai un po’ idea, ecco. Eppure anche lì dentro il tema Aids e riduzione del danno faceva fatica a essere presente. Diciamo così non era, insomma, non era ostacolato, ma neanche proprio visto con grande entusiasmo. Sì, comunque.

Rachel Love: [01:04:48] Magari l’idea era, “Dovresti fermarti, non farlo più,” per qui—

Diego Scudiero: [01:04:53] Sì, sì, anche lì l’idea è sempre comunque di redimere, di guarire, cioè tu devi tornare ad essere come me. Questo è il punto, no? Lo si fa anche con il fumo e le sigarette. Nel senso che in genere chi non fuma non sopporta questa cosa, che un altro faccia una cosa che a lui darebbe fastidio o comunque—che anche questa è una forma per me di dipendenza, cioè io faccio fatica a staccarmi. Però adesso, a parte questo, diciamo comunque sì. L’idea di curare è un po’ sempre quella che sta alla base di un approccio, anche di un approccio educativo. Comunque, nell’idea di cura c’è una norma attività, cioè una normalizzazione. Generalmente, quindi, difficile tollerare il fatto che io ti dica ok, se ti devi fare, fatti, però fatti in modo pulito. Usa una siringa pulita e ti do la siringa pulita, perché che io te lo dica e basta, se non ti do gli strumenti diventa quasi inutile. Però si.

Rachel Love: [01:06:31] Poi parlando un po’ di pregiudizi, la HIV e l’Aids erano mai visti come problemi stranieri o che arrivavano dall’estero?

Diego Scudiero: [01:06:47] Ma non necessariamente. Diciamo che c’è stato sì, un momento in cui ovviamente all’inizio sì. C’è la dissoluzione americana, San Francisco, poi gli africani, l’Africa, il Sud Africa. Però non è stato per molto perdurante. Se non per chi avrebbe attribuito anche il mal di piedi agli africani. Voglio dire, c’è uno zoccolo di popolazione che pensa che tutto derivi dal fatto che ci sono troppi immigrati, ma qualunque cosa. Quindi quel pezzo di popolazione. Tolto quel pezzo di popolazione, no. Poi alla fine, certo l’idea era un’idea di colpa. Quando Donat-Cattin diceva l’Aids se lo prende chi se lo va a cercare diceva una cosa diffusamente pensata. Perché comunque era il frutto di ciò che veniva percepito come trasgressione, fosse la tossicodipendenza, fosse l’omosessualità. Per cui se a maggior ragione dentro a quella trasgressione tu eri anche di facili costumi, quindi scopare un po’ troppo e allora davvero te l’hai ricercato. Quindi l’idea della colpa era l’idea sicuramente più diffusa, di una responsabilità. Così come c’era un’idea, e temo che ci sia ancora oggi, un’idea che l’HIV si diffonda quasi per una intenzionalità delle persone sieropositive a diffonderlo. Cioè è colpa delle persone sieropositive se c’è l’HIV. Nonostante oggi provi a spiegare che con la TasP, con la Treatment as Prevention, in realtà le persone sieropositive sono quelle che non trasmettono l’Aids se in terapia, che Aids è trasmesso da chi non sa di averlo, perché non si è mai fatto un test, perché ha un pensiero magico che a lui non capiterà mai, no? E quindi, voglio dire che c’è un’idea della colpa che si ripete in varie dimensioni. “È colpa tua che te lo sei preso ed è colpa tua che lo trasmetti. Io non c’entro niente, io sono fuori da questo.” E quindi non c’è una idea di responsabilità sociale. Non c’è un’idea che se io non metto a disposizione i preservativi, uno non li usa. Che se io continua a farli, come dire, a non calmierare i prezzi, sono impossibili da acquistare per un ragazzino o una ragazzina. Per non parlare dei Femidom [preservativo femminile] .

Rachel Love: [01:10:27] E magari vuol dire—Risulta nella seriofobia internalizzata.

Diego Scudiero: [01:10:37] Anche sì.

Rachel Love: [01:10:40] Se tutti dicono, “colpa tua.”

Diego Scudiero: [01:10:44] Sì. Sì, no, certo. Sì, è un fenomeno come l’omofobia interiorizzata. Cioè è chiaro che questo è un meccanismo che non è, come dire, che non lascia estraneo chi ne è colpito direttamente, cioè lo coinvolge e a volte lo convince di questo. O soprattutto quando tu non hai acquisito gli strumenti per controbattere o comunque per articolarti un pensiero tuo, e una larga fetta di popolazione non lo ha fatto. Cioè l’attivismo è un ambito piccolissimo, piccolo per quanto visibile, rispetto alla quantità di persone che non ne vogliono sentir parlare, che se la vivono come colpa, che se la vivono come castigo, no, e che interiorizzano appunto questa dimensione. In Italia, rispetto ad altri Paesi, adesso non lo so, rispetto ad altri paesi, ad esempio, non c’è stata mai una visibilità da parte di persone conosciute, dello spettacolo, dello sport, no? Che ha un suo peso. Michael Jordan [Magic Johnson] ha avuto un suo peso, nel senso che quando lo ha detto, non è che ha fatto chissà quali cose, però detto da lui ha contaminato il pensiero di molte altre persone. Ha aiutato, ecco, diciamo, a rendere pronunciabile una parola e renderla visibile.

Nell’Italia questo non è accaduto. Sì, un po’ manca. Sì, perché appunto tu hai solo l’attivismo, cioè la visibilità è solo sull’attivismo e l’attivismo è sempre percepito come di parte, politico, di persone più o meno esaltate. Non è mai percepito come una comunicazione banalmente neutra. Certo, la comunicazione non è mai neutra. Però nell’attivismo, e va bene che sia così, tu cogli sempre degli elementi, delle tinte di colore un po’ più accese e un po’ più forti.

Rachel Love: [01:13:55] Ha avuto il suo impatto anche questo.

Diego Scudiero: [01:13:58] Ehm sì.

Rachel Love: [01:14:02] Allora io avrei quasi finito. E poi, visto che hai lavorato tutto il giorno e adesso hai passato tempo a parlare con me magari sei un po’ stanco. Ma c’è altro che abbiamo perso, che vorresti anche far notare in questa intervista, anche per quelli magari che ascoltano dopo?

Diego Scudiero: [01:14:32] Ma dunque fammi fare un attimo di mente locale, che adesso ripenso a 10.000 cose—

Rachel Love: [01:14:42] È anche una domanda magari troppo pesante. Però un’opportunità—

Diego Scudiero: [01:14:47] No, no, non è quella, è che ovviamente dall’84 a oggi si sommano molte cose.

Rachel Love: [01:15:01] Non riesci a parlare di tutte.

Diego Scudiero: [01:15:05] Sì. Ma una cosa secondo me interessante era questa, che quando nacque la Lila a Bologna, il gruppo propositivo, come dicevano un gruppo di persone sieropositive che si erano costituite, attorno al ’92, per un paio di anni hanno gestito una trasmissione radiofonica come persone sieropositive a Radio Città del Capo, all’epoca si chiamava, dove lavorava anche Beppe Ramina come giornalista. Però avevano un loro spazio e fu un esperimento molto interessante anche quello, perché era un diverso strumento di comunicazione. La radio che uno è abituato ad ascoltare, che a un certo punto, non tutti i giorni, però, una volta a settimana, tra una musica, tra una canzone e l’altra, comunque. E fu interessante, fu davvero molto, molto carino come cosa, come esperimento. Questo c’ da ricordarlo anche in onore di Valerio che era l’animatore della radio della trasmissione, intendo dire. E altre due cose molto velocemente. Va beh, noi abbiamo gestito una casa alloggio per persone con Aids, per prive di domicilio, cioè non che non avevano una casa. E anche quella è stata un’esperienza faticosa. Perché poi noi non eravamo—Eravamo un’associazione, non una cooperativa di assistenza, avevamo una struttura non esattamente adatta, per cui, insomma, un po’ di difficoltà ci sono state. E però anche lì una casa mista che ha accolto, anche in collaborazione, lavorando con il MIT, Movimento di identità transessuale, alcune persone transessuali malate e che non avevano altrimenti uno spazio dove poter vivere. E anche quella, un po’ come tutte le cose che abbiamo cercato di fare, nella nostra idea c’era un’idea di costruire un esempio, non di gestire per sempre una casa, ma di dimostrare che era possibile farlo e che doveva essere un servizio che il pubblico, per la sanità pubblica doveva in qualche modo rendere possibile.

Diego Scudiero: [01:18:21] A noi non è mai piaciuta l’idea di un volontariato che sostituisse lo Stato o lo Stato in senso generale, diciamo, perché questo rende alcune zone più ricche con maggiori servizi, ma gli stessi diritti non vengono riconosciuti se non c’è il volontariato. Questo ci sembra davvero una cosa da non fare, nel senso che ho il diritto—Allora, mentre il ruolo del volontariato è quello di fare da apripista, non può esserci un ruolo—tanto che a Bologna, ad esempio, l’azienda USL ha messo in piedi, ha sperimentato negli anni alcuni gruppi di auto aiuto e ha messo in piedi un servizio diurno, un centro dedicato alle persone con HIV, credo tra le pochissime, che io conosca, esperienze in Italia. E ancora è aperto, quindi con assistenza anche di carattere socio sanitario. E questo noi lo riteniamo, al di là del giudizio— cioè, tutto è migliorabile, ovviamente— però per noi questa è una piccola vittoria della nostra presenza. C’è il fatto che l’ente pubblico a un certo punto, l’AUSL abbia aperto uno spazio e non delegato al volontariato questa cosa. È l’altra cosa, l’altro progetto, assieme a un’altra associazione che si chiama Iniziativa Donne AIDS, è stata per otto, nove anni ogni martedì un gruppo di lavoro, in quel caso non precisamente un gruppo di auto aiuto, all’interno del carcere della Dozza, altra zona in cui insomma l’HIV aveva creato situazioni di fortissimo disagio anche tra le persone detenute e per cui chi era sieropositivo non poteva lavorare in cucina e lavorare all’interno del carcere già dove non c’è lavoro significa sostentamento, cioè significa poter guadagnare qualcosina. E anche lì, con il tempo, siamo riusciti a creare una situazione. Dopo di che il capo delle guardie ha deciso che eravamo un po’ troppo rivoluzionari per i suoi gusti e ci ha impedito di continuare ad entrare. Perché ovviamente, quando tu tocchi temi come la salute in una struttura come il carcere è un’incitazione alla rivolta, ma non perché lo fai, perché è la struttura che non può che essere rivoltata. Non è che c’hai altri strumenti. Adesso la sto un po’ semplificando, però, insomma, questo è un po’ il senso di questa.

Diego Scudiero: [01:21:50] Erano le ultime due cose. Oltre a una grande soddisfazione, un grande sollievo con le nuove terapie. Cioè l’idea di non assistere più alla morte di amici e conoscenti. Ancora un po’ mi commuove, nel senso che le perdite multiple sono così, di—non so come dire, ma—di continuo—insomma, sono state per me davvero molto, molto, molto complicate da sopportare, da reggere. Penso che abbiano un po’ modificato anche il mio rapporto più in generale con la malattia. Ecco, oggi faccio un po’ più fatica perché ho un senso di libertà. Cioè faccio più fatica nel senso che, dà un senso di liberazione con le terapie. Ecco, vorrei non avvicinarmi più a quella zona. Vabbè. Questo però è un dato biografico. Sì.

Rachel Love: [01:23:08] E commovente anche per me ascoltare per cui grazie per condividere questo sentimento con me. È difficile immaginare per una persona che non [abbia] vissuto questa cosa, però va ascoltata comunque questa esperienza, per cui grazie.

Diego Scudiero: [01:23:39] Grazie a te.

Rachel Love: [01:23:40] Posso chiedere una domanda piccola? Questa trasmissione radiofonica, di cosa parlavano, tipo consigli o vita quotidiana?

Diego Scudiero: [01:23:52] Era un po’ un misto, nel senso che c’erano sia la parte, diciamo informativa, consigli, un po’ le esperienze che avevano o nel gruppo di auto aiuto o nelle iniziative o nell’avere incontrato altre persone. E quindi un po’ di questo, ma anche una parte più diciamo tra virgolette ludica, per cui il mettere la musica di un cantante che si era dichiarato positivo o il citare un artista o il richiamare insomma anche a queste cose. Quindi il tentativo di tenere insieme un po’, diciamo due registri, consapevoli del fatto che erano in una radio, quindi dovevano fare in modo che uno non spegnesse.

Rachel Love: [01:25:01] Coinvolgere, insomma.

Diego Scudiero: [01:25:02] Esatto. Poteva essere un gesto facile quello di spegnere la radio, quindi. Valerio poi aveva un background musicale, faceva già il DJ a Radio Città del Capo, quindi non era nuovo all’intrattenimento. Aggiungendo però questi elementi, altre volte qualche intervista comunque, insomma, cercando sempre—era una volta a settimana, quindi non così pressante, così impegnativo, per s certo.

Rachel Love: [01:25:41] Immagino che non si può ascoltare.

Diego Scudiero: [01:25:44] Sai che non credo che ci siano le registrazioni di questa cosa. Io non le ho mai avute e non le ho. E temo che Radio Città del Capo, peraltro, che adesso non esiste più, sia perso proprio tutto.

Rachel Love: [01:26:01] Una cosa effimera.

Diego Scudiero: [01:26:07] Sì, effimera, effimera.

Rachel Love: [01:26:10] Effimera. Che passa.

Diego Scudiero: [01:26:14] Sì, sì, sì, ma purtroppo noi non abbiamo mai avuto la capacità di testimoniare le nostre—diciamo così, non c’erano i cellulari, quindi o qualcuno aveva una macchina fotografica oppure molte cose non sono state documentate. Però non so se hai visitato il sito della Lila.

Rachel Love: [01:26:44] Sì.

Diego Scudiero: [01:26:45] E lì ci sono dei documenti e dei filmati. C’è tutto lì.

Rachel Love: [01:26:58] Lila.it, quello.

Diego Scudiero: [01:27:01] E lì ci sono—C’è l’occupazione dello Spallanzani, che era un ospedale che era stato costruito da due anni e lasciato all’abbandono. E c’è un video di quello. C’è l’occupazione di Farmindustria.

[…]

Rachel Love: [01:30:44] Ok, allora ci fermiamo qua. Grazie per il tuo tempo.

Diego Scudiero: [01:30:52] Spero che ti sia utile.

Rachel Love: [01:30:53] Sì, come no. E non ho detto all’inizio, però io scriverò un articolo. Sarà probabilmente anche troppo corto per contenere il tutto. Però la cosa più preziosa che faremo è questo database di testimonianze. Per cui sarà consultabile anche per altre persone, altri storici. Ok, ma grazie di nuovo.

Diego Scudiero: [01:31:36] Grazie a te. Buona serata.

Rachel Love: [01:31:38] Anche a te. Ciao!

Diego Scudiero: [01:31:41] Ciao ciao.


Transcript of interview on 7 April 2022.

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