Interview with Enzo Cucco

Monday 16 January 2023

Enzo Cucco, born in 1960, has been an activist with the queer liberation group FUORI! since 1976 as well as the Partito Radicale, for which he served as a regional councilor from 1990 to 1995. He also is a founder of the archive Fondazione Sandro Penna and the Fondazione FUORI!


Rachel Love: [00:00:01]Sono Rachel Love e sono qua con Enzo Cucco il 18 maggio del ’22. Possiamo cominciare con gli inizi, tipo il tuo inizio come attivista con FUORI! nel ’76.

Enzo Cucco: [00:00:18]Sì, sì, io ho iniziato nel 1976. Perché a 16 anni—vabbè la storia è un po’ complicata. Comunque, insomma, sono venuto in contatto con la prima campagna elettorale del Partito Radicale che aveva per la prima volta nella storia dei candidati dichiaratamente omosessuali. Io partecipai a tutti, diciamo così, gli appuntamenti elettorali in avvicinamento al FUORI! e al Partito Radicale. Poi diventai un militante da settembre dello stesso anno e da allora ho sviluppato numerose attività e presenza nel movimento. Con questo cambiamento totale che ci fu dall’82 in avanti—il cambiamento non fu immediato, durò almeno un paio d’anni, ma di fatto per noi cominciò proprio nell’82. Perché nell’82 noi venimmo a conoscenza dell’esistenza di questa sindrome che ancora non si chiamava Aids, come lei sa. Per un motivo molto banale, molto semplice. Allora le notizie sulla presenza di questa strana infezione erano già arrivate in Italia ed erano state già pubblicate a seguito del famoso famosissimo articolo uscito sul New York Times a luglio, mi sembra, dell’81. Il mondo scientifico qualcosa sapeva, perché chi leggeva i bollettini del CDC già in qualche modo era sull’allarme. Ma la prima notizia arriva e ovviamente la formulazione usata era “cancro dei gay,” perché questo era, no? Era cancro dei gay, e fu ripresa immediatamente dai giornali italiani. Piccola notizia, ma fu ripresa. E in occasione di quelle prime uscite noi facemmo un comunicato stampa al fulmicotone, cioè proprio un comunicato stampa molto duro dicendo, “Ah, cos’è questa cosa, il cancro dei gay,” ecc.

E l’avevamo, diciamo così, relegata nel mondo delle notizie false o delle notizie anti-omosessuali. Invece nell’82, sempre nel luglio dell’82, noi partecipammo a Washington [D.C.] a una conferenza dell’IGLA, International Lesbian Gay Association come si chiamava allora, adesso ha cambiato proprio nome. E la delegazione ufficiale da Torino dell’Italia era composta da me, da Angelo Pezzana, da Marco Silombria. Poi c’era anche Bruno Di Donato, che veniva da Roma. E poi non con noi, ma sempre comunque alla conferenza, ci fu anche Sergio Facchetti, che era un attivista militante di Brescia. Noi abbiamo avuto un primo impatto, diciamo così, con gli amici, soprattutto gli amici corrispondenti. Io ero giovane, avevo 22 anni, allora non avevo ancora amici che abitavano negli Stati Uniti. Però Marco li aveva perché era già stato negli Stati Uniti. E loro ci parlarono molto dell’Aids–io lo chiamo Aids, ma insomma stiamo nel periodo di questa nuova cosa–e dell’impatto che aveva avuto sulla comunità. Tant’è vero che si discuteva, si discuteva molto. In questo momento non ricordo i nomi, però li posso rintracciare e glieli posso dare i nomi degli americani e degli statunitensi che ci ospitarono in particolare, comunque, ci accolsero.

Rachel Love: [00:04:58]Quando FUORI! è andato in questa conferenza, quando siete venuti, avete avuto già l’idea di parlare dell’Aids o di questo sindrome? O era una cosa che è venuta fuori alla conferenza?

Enzo Cucco: [00:05:11]No, allora noi non siamo andati con l’obiettivo di parlare di questa cosa o di chiedere informazioni. La necessità è arrivata lì, perché lì, negli Stati Uniti abbiamo avuto l’impatto con le notizie. Anche perché io lo voglio ricordare, nel luglio 1982 l’emergenza era massima, era totale, ed era in atto uno scontro molto forte fra quella parte di movimento che negava l’esistenza dell’Aids e che diceva, “Una delle solite teorie omofobe inventate,” esattamente alla nostra posizione. E un’altra parte invece molto responsabile, che diceva, “Sì, sta crescendo l’omofobia insieme all’Aids, ma fate attenzione perché la malattia colpisce veramente le persone omosessuali oltre che tutte le altre,” eccetera. E questo scontro, confronto si riflette anche durante i lavori del Congresso. Non diventò mai un tema del workshop del Congresso stesso, ma nei corridoi, quando si parlava con le persone, si parlava solo di Aids. Ed era in atto questo scontro che ho detto prima, anche perché era nato da pochissimo, credo qualche mese, un mese o due, il National Gay [Men’s] Health Crisis, che è stata, come lei sa, la più importante organizzazione al mondo sull’Aids di persone omosessuali. Si occupava soprattutto di persone omosessuali, poi ha aperto una sezione molto importante, relativa ai senzatetto e agli ispanico americani. Insomma, tutta la serie di persone che cadevano.

E c’era proprio uno scontro fortissimo fra militanti. Noi tornammo in Italia pieni di informazioni e finalmente consapevoli che si trattava di un’emergenza anche nostra. Cioè esisteva il problema della manipolazione dell’informazione, del pressapochismo, ma della manipolazione in senso anti-omosessuale, del pressapochismo e dell’incapacità della gente di capire cosa fosse esattamente, della facilità di definirla “la peste gay, il cancro gay,” cosa che non aveva assolutamente senso. Ma c’era anche la consapevolezza che si trattasse effettivamente di un’infezione che poteva colpire anche le persone gay e lesbiche, soprattutto delle persone gay, perché avevano—e hanno ancora adesso, grazie a Dio—una grossa attività sessuale. Devo dire che questo aspetto forse è stato un po’ dimenticato in Italia. Ma su persone come me che erano giovani all’epoca, molto giovani, che si affacciavano alla vita politica omosessuale per la prima volta, perché questo era di fatto, ebbe un impatto molto forte, cioè lei provi a immaginare cosa significa per una persona omosessuale che ha vissuto la sua adolescenza in modo closet, che poi si scopre e fa coming out, e c’è tutta la parte, diciamo così, positiva, dello scoprirsi, delle conoscenze e dei rapporti. E anche la scoperta dell’attività sessuale che era diffusissima. E poi questa batosta che è rappresentata dall’Aids. E la nostra vita è stata completamente cambiata, sia dal punto di vista personale che dal punto di vista del gruppo, anche perché molte persone a noi vicine si sono infettate, non sappiamo esattamente come, sono morte, altre persone abbiamo assistite, eccetera.

Ricordo perfettamente che a luglio, tanto per dirle una cosa– Allora Marco e Angelo non hanno avuto rapporti sessuali in quel periodo e in quel viaggio negli Stati Uniti. Glielo dico perché non è un segreto, ce lo siamo detti un sacco di volte. Io e Bruno sì. E io e Bruno avevamo anche frequentato delle saune famose a New York. E poi Bruno è morto di Aids nel ’91. Ha scoperto di avere l’Aids un po’ più avanti, quando nell’85 è arrivato il test e poi è morto. Ed è morto a Torino, fra l’altro, perché lui ha deciso quando ha lasciato la carica di presidente del Circolo Mario Mieli di venire a Torino perché, dal punto di vista dell’assistenza, forse si sentiva un pochino più garantito dalla cerchia dei suoi amici, ed il suo compagno era di Casale Monferrato. Questo sicuramente ha cambiato la vita. Sicuramente ha cambiato, diciamo così, la prospettiva.

E ricordo benissimo le polemiche anche in Italia fra quanti risultavano essere molto critici su questa monotematicità, cioè, dicevano, “Ma no, dovete smetterla di occuparvi soltanto di Aids, perché la vita delle persone gay e lesbiche non è soltanto questo.” È tutto verissimo, ma in quel momento c’era l’emergenza, cioè in quel momento davvero noi rispondevano a delle esigenze, dei bisogni che la sanità pubblica non garantiva. A Torino abbiamo fatto tutta una serie di iniziative di conoscenza. Nel settembre dell’82 producemmo una copia di un dépliant in italiano con le prime informazioni che avevamo raccolto negli Stati Uniti, a New York, semplicemente traducendo in italiano queste informazioni. Pensi un po’ che i medici torinesi e anche nazionali ci chiedevano copia di questi documenti perché effettivamente avevano poche informazioni. Cosa che oggi farebbe un po’ ridere se non facesse piangere. Perché la letteratura inglese medica è molto diffusa e anche di facile raggiungimento, perché adesso c’è Internet, ci sono tutta una serie di strumenti che allora non c’erano. Voglio ricordarlo, non c’erano questi strumenti. Quindi se tu non avevi il cartaceo della rivista dove era uscito quell’articolo, non ce l’avevi. Ce l’avevano le centrali, ma non avevano ancora incominciato a categorizzare l’Aids. Quindi capisco anche questa mancanza di informazione, ma c’era. E per un lungo periodo, almeno fino all’85, ’86, eravamo praticamente gli unici insieme all’ASA di Milano e al Circolo Mario Mieli di Roma che si occupavano di questa materia, gli unici dell’associazionismo italiano che subito sviluppammo rapporti con l’Istituto Superiore di Sanità. All’Istituto infatti avevano dei contatti a livello di OMS, sapevano di queste iniziative e soprattutto avevano un presidente e un gruppo di lavoro sulle malattie infettive molto attento.

Ad essere sincero la risposta del movimento omosessuale è stata molto parziale, non all’altezza della situazione: il FUORI! si stava spegnendo, e rimasero attivi solo alcuni gruppi locali, Arcigay è nata proprio nel 1985 e furono da subito attivi il Circolo Mario Mieli a Roma e l’ASA di Milano da quando è nato. Nel luglio di quell’anno, come detto, andammo a Washington e tornammo con questa angoscia. E più passava il tempo, più c’erano i casi, più cadevano le persone a fianco a noi di Aids: ci fu sostanzialmente un travaso di militanza politica del FUORI! da coloro che si occupavano di politica omosessuale, a coloro che si occupavano soprattutto di Aids. Perché era l’emergenza per noi, secondo me era l’emergenza della società tutta intera.

Questa è la mia interpretazione. Se lei chieda all’Istituto di sicuro le dirà sì, è stata l’emergenza. E fra l’altro, e strano a dirsi, ma vero, l’infezione da HIV e le sue conseguenze in Italia sono state la rinascita delle malattie infettive e della medicina delle malattie infettive in Italia, che invece aveva—purtroppo, meno male, non lo so—conosciuto decenni di stasi. Andavano a lavorare alle medicine infettive quelli che non sapevano che cosa fare, andavano a curare l’epatite virale, le influenze, le rare infezioni esotiche: in medicina all’ora non erano così importanti. Invece la storia ha reso molto importanti le malattie infettive e molto gravi le conseguenze che possono portare. Ma tutto è nato dal punto di vista massmediatico, anche, soprattutto con l’Aids. Così come l’Aids, più ancora che con il cancro, colpendo persone politicamente attive nella minoranza omosessuale, ha prodotto persone consapevoli e impegnate in politica, travasando tutta la loro esperienza nella reazione che ci fu contro le istituzioni sanitarie.

La nascita del National Gay Men’s Health Crisis è un esempio, così come sono esempi tutti i gruppi che sono nati sull’Aids, che poi ha visto nella seconda parte degli anni ’80, come lei sa, la nascita di ACT UP, che in Italia non ha mai avuto un grande successo. C’è stato anche ACT UP in Italia, ma non ha mai avuto una grande diffusione o grande successo. Perché le associazioni, diciamo così, che preesistevano a ACT UP avevano già tutta una rete, sia dal punto di vista dell’assistenza delle persone che avevano bisogno, sia dal punto di vista dell’impegno politico. Noi siamo stati molto esposti, soprattutto nei primissimi anni—’84, ’85, ’86 per l’Italia sono i primissimi anni—per far comprendere l’entità di quello che stiamo vivendo noi e gli scontri che ci furono con l’istruzione, la famosa dichiarazione del ministro Donat-Cattin che l’Aids lo prende solo chi lo va a cercare, e cose di questo tipo. Tra l’altro in Italia, come sa, colpiva sia le persone omosessuali ma anche le persone che facevano uso di droga, in particolare le sostanze che si iniettavano i tossicodipendenti, in particolare con l’eroina, perché l’eroina era scambiata attraverso siringhe. E c’era questa abitudine di usare le stesse siringhe per bucarsi più volte o bucarsi in tanti con la stessa, diverse, oltre che fare l’amore fra persone tossicodipendenti senza preservativo.

Rachel Love: [00:19:16]È una domanda che abbiamo, perché non ci fosse un movimento di ACT UP molto presente in Italia. Secondo lei era perché c’erano già associazioni come LILA, FUORI!, ASA?

Enzo Cucco: [00:19:37]Allora la situazione in Italia si è evoluta in questo modo. Prima sono nate delle esperienze singole locali, soprattutto il Mario Mieli a Roma, l’ASA a Milano, il FUORI! A Torino, ma FUORI! anche in altri luoghi, la LILA di Firenze e la LILA di Bologna. In queste associazioni le persone erano totalmente slegate a livello nazionale, cioè non c’erano organizzazioni nazionali, diciamo così, impegnate su questo fronte. Nell’85, ’86 forse la LILA un po’ prima, nacquero esattamente la LILA e l’Arcigay. Il primo circolo Arcigay era nato nell’80 in Sicilia, ma di fatto divenne un’organizzazione nazionale nell’85. E lì cominciò sia ad aprirsi il mondo, diciamo così, delle associazioni, perché molte associazioni che si occupavano di assistenza alle persone tossicodipendenti si occuparono anche di Aids, moltissime, tantissime. Io ricordo benissimo che un incontro nazionale delle persone sieropositive, che era stata un’invenzione dell’ASA a cui noi tutti partecipavano, un’edizione di questo incontro nazionale si svolse a Casale Monferrato. Perché a Casale Monferrato c’era una comunità di accoglienza per le persone tossicodipendenti molto attiva sull’argomento. Era di Casale Monferrato Vittorio Martinotti, il compagno di Bruno Di Donato. Ricordo perfettamente i primi contatti che noi abbiamo avuto con Don Luigi Ciotti, che era già un nostro amico, un mio amico in particolare.

Tant’è vero che c’è addirittura un documentario dove noi abbiamo parlato di queste cose qua. E Don Ciotti ricorda bene tutti i primi anni. Lui fu il primo presidente della LILA, come sapete, perché da subito le organizzazioni cattoliche e cristiane che si occupavano di tossicodipendenza si trovarono a che fare con questo problema. Tutti hanno avuto approcci diversificati fra di loro, ma sostanzialmente lo hanno avuto [a che fare con questo problema]. Io mi ricordo per esempio i primi anni della nostra attività avevamo rapporti molto importanti con i gruppi cattolici. C’era un gruppo formato da suore che dava accoglienza. Anche perché il problema dell’accoglienza abitativa era molto diffuso perché le prime persone che si sono ammalate di Aids venivano cacciate di casa. Insomma, pensi che una persona che noi abbiamo assistito ma già tanto tempo fa, nel 1986, io e Angelo Pezzana, era un dipendente della Fiat. Lui era stato cacciato di casa perché aveva dei problemi con la famiglia, perché avevano scoperto nello stesso momento che aveva l’Aids e che era omosessuale. Trovò ospitalità nell’albergo del fratello, che però gli aveva dato una camera su, su, su in alto. Il problema era che questa persona, questo ragazzo, aveva consumato tutta la mutua. Adesso non voglio fargliela lunga, ma in Italia esiste una norma per cui se tu fai tantissimi mesi di mutua, poi non ne hai più diritto. Lo so che sembra folle, ma è così perché si pensa che l’assegno di inabilità al lavoro possa essere utilizzato. E molte persone omosessuali erano in queste situazioni all’ora. Lui era dipendente della Fiat. Noi eravamo disperati, non sapevamo come aiutarlo, lui ci chiese aiuto. E allora Angelo Pezzana ebbe un’idea folle dicendo, “Beh, non importa, andiamo a parlare con gli Agnelli. Noi siamo di Torino. Vogliamo parlare con loro. Loro sono proprietari della Fiat.” Mi sembra era l’86, e attraverso un’altra persona, morta di Aids dopo, che è stato uno dei fondatori dell’ANLAIDS Piemonte, avemmo un contatto con Marella Agnelli. E Marella Agnelli ci accolse e facemmo un incontro incredibile. E lei ci raccontò che era appena stata nominata nel Comitato internazionale di AMFAR di Liz Taylor. La famiglia Agnelli ha molto donato contro l’Aids.

Lei mi interrompa pure. Io vado libero, dritto su quello che mi ricordo. Allora chi aveva di sicuro, a parte noi con i nostri contatti—Noi avevamo contatti anche molto importanti con gli Stati Uniti, in particolare per quanto riguarda i fondatori del Gay Men’s Health Crisis, e avevamo buoni rapporti che si sono mantenuti tali con Edmund White, lo scrittore, che come sa è stato uno dei fondatori del Gay Men’s Health Crisis. Credo che però negli anni ’80 lui abbia più vissuto a Parigi, in Francia, piuttosto che a New York. Però risulta essere uno dei fondatori. Avevamo anche rapporti con gli altri. Io mi ricordo, per esempio, John Lauritsen è stato uno dei militanti, attivisti, scrittori, saggisti omosessuali molto importante per quegli anni. E lui aveva posizioni molto critiche nei confronti dell’Aids. Lui diceva che non esisteva, che era un fake news come si direbbe oggi.

Chi aveva maggiori rapporti internazionali in Italia, secondo me—Non “secondo me,” era proprio così—era l’ASA di Milano. Sia perché Milano è sempre stata una città molto più internazionale delle altre e quindi c’era un contesto interessante da questo punto di vista. E ha avuto anche il contesto importante del mondo della moda. E non è un caso, per esempio, che a Milano abbiano organizzato Convivio. Convivio è nata nel 1992 da Versace con l’aiuto di Armani, Valentino e Ferrè, regalavano ad ANLAIDS delle cose non più messe o fuori mercato e poi ANLAIDS le rivendeva. Vorrei ricordare Moschino che è stato molto, molto attivo in quegli anni lì, da questo punto di vista.

Rachel Love: [00:28:20]Era ANLAIDS o ASA che partecipava?

Enzo Cucco: [00:28:25]Credo proprio sia Anlaids anche se non escludo che qualche edizione sia stata fatta anche con la loro partecipazione o una parte dei proventi sia andata a loro. Il presidente di allora dell’ASA è stato un ex-militante del FUORI! Stefano Marcoaldi era di provenienza liberale. Stefano aveva un sacco di rapporti internazionali. Questo aveva facilitato i contatti a livello internazionale, soprattutto con gli inglesi e con i tedeschi, con la Germania e con l’Inghilterra. C’erano molti contatti. All’inizio li teneva lui questi contatti e poi sono diventati patrimonio di un’altra persona. Ma ricordo più avanti c’era una persona inglese [Chris McKevitt], che era molto simpatico, davvero molto simpatico. Un grande amico nostro. Io sono andato anche a trovarlo a Londra. Perché certo, avevamo proprio buoni rapporti da questo punto di vista. E questo manteneva un po’ i rapporti con l’estero, in particolare con la Gran Bretagna. Lui aveva una storia d’amore con una persona pugliese, l’aveva conosciuta in Puglia perché faceva degli studi di antropologia. L’aveva conosciuto in Puglia, poi si era trasferito a Milano. Lui e il suo compagno, poi il suo compagno si era scoperto sieropositivo. Dopo la morte del compagno, in realtà è stato ancora un po’ a Milano, poi si è di nuovo ritrasferito a Londra. Attraverso di lui sono passati molti rapporti con gli stranieri. Hanno conosciuto per esempio il progetto del [Aids] Quilt. Sono stati in contatto con gli americani di San Francisco e di Los Angeles, che erano i più attivi da questo punto di vista nel progetto del Quilt che poi hanno diffuso in tutta Italia, Torino, Roma. Ha prodotto, purtroppo, ahimè, un sacco di quilt da questo punto di vista.

Un’altra persona a livello internazionale molto interessante, l’abbiamo conosciuta nel 1991. Era già morto Bruno Di Donato nel mese di aprile e a luglio dello stesso anno si svolse la Conferenza Internazionale sull’Aids a Firenze. Questo diede un grandissimo slancio diciamo così, di internazionalizzazione, ai rapporti con le associazioni, anche perché vennero in Italia molte associazioni gay e venne in particolare una persona [Don De Gagne] che poi si è fermata un po’ a Milano e a Torino. Era un rappresentante del l’International Steering Committee [del Global Network of People Living with HIV/AIDS] che si era costituito in quegli anni. Lui era una persona sieropositiva che è ancora viva, meno male. È ancora viva e lavora a Parigi, in un’organizzazione internazionale che si occupa di Aids. Era simpaticissimo, era molto carino e avevamo avuto un sacco di rapporti con lui. Mentre invece nel ’93, venne a Torino un rappresentante del Gay Men’s Health Crisis responsabile del settore formazione il cui nome era Donald McVinney con cui facemmo un piccolo incontro per capire esattamente come lavoravano loro, come lavoravano noi. Cioè due mondi totalmente diversi. Gli Stati Uniti rimanevano per noi una realtà molto diversa, molto diversa.

Rachel Love: [00:34:19]Può parlare di più di questa cosa? Diversa in che senso?

Enzo Cucco: [00:34:25]Allora, la prima diversità che mi colpiva era la grande forza e la grande rappresentanza che il Gay Men’s Health Crisis aveva all’interno della comunità LGBT nazionale. Almeno all’ora, almeno in quegli anni. Loro erano davvero riconosciuti come una delle esperienze più importanti, se non la più importante. E facevano capo a questa esperienza, come sa, un sacco di persone che erano assistite da Gay Men’s Health Crisis, che facevano attivismo, come solo le organizzazioni non profit anglosassoni sapevano fare. Sanno fare perché hanno un’attività di assistenza che nei paesi latini, in particolare in Italia, è molto diffusa ma è molto diffusa soprattutto nella cultura cattolica. Ovverosia la cultura cattolica ha sviluppato moltissime esperienze da questo punto di vista, di assistenza ai più deboli, di assistenza ai malati, con delle esperienze che sono davvero molto positive perché sono davvero di accoglienza e di apertura agli altri. Per altre io avrei qualche dubbio perché si chiudevano gli occhi di fronte a certe situazioni. E si vabbè, “Assistiamo perché soffrono,” che non è un atteggiamento che noi consideravamo giusto. Però da questo punto di vista noi eravamo veramente la minoranza. La maggioranza erano le grandi organizzazioni che si occuparono di tossicodipendenza, che avevano la situazione in casa e quindi dovevano occuparsene, e le grandi organizzazioni molto filo chiesa. Per quanto riguarda la realtà gay c’era appunto l’Arcigay, che aveva anche rapporti internazionali in questo senso. Ma li ha sviluppati molto più avanti, cioè dal ’90 in avanti, non come i nostri.

Si deve tener conto che tra il ’95, ’96 l’esperienza torinese che nel frattempo aveva assunto il nome di GSA, Gruppo Solidarietà Aids si è chiusa. Noi abbiamo sempre sostenuto questa tesi: che la nostra è un’esperienza di emergenza che era nata nell’emergenza e viveva di emergenza, cioè di intervenivamo laddove gli altri non intervenivano.

Nel ’95, ’96 sono arrivate le prime terapie nuove che hanno sostanzialmente cambiato la vita delle persone sieropositive, hanno ridotto tantissimo la mortalità, hanno migliorato tantissimo la capacità di vita e quindi è cambiato, sostanzialmente. I contatti si smorzarono proprio in quegli anni lì. Sulla prevenzione noi abbiamo ancora lavorato. Fra il ’99 e il 2000 io insieme a delle persone che a lei forse dicono poco, ma qui in Italia sono abbastanza conosciute—Una si chiama Gail Cochrane, era una curatrice di patrimoni artistici personali. Le altre due erano Angela Vettese, che è una critica d’arte che scrive sul Sole 24 Ore in Italia, che è anche docente all’Università di Venezia ed è un nome importante in Italia, così come l’ex vice direttore del Museo del Castello di Rivoli [Giorgio Verzotti] che poi è diventato direttore di quel del Museo di Trento, sempre molto impegnato nell’arte contemporanea, noi quattro facemmo un’iniziativa che si chiamò DIRE AIDS e che ha portato per la prima volta in Italia tutte le opere dei grandi artisti americani, tedeschi, inglesi che avevano lavorato sull’Aids.

Vennero anche gli artisti, quelli ancora vivi, ovviamente. Era la prima volta che si faceva in Italia. Difatti la mostra fu importantissima. Facemmo anche un’esposizione del Quilt all’ora raccolto in Italia. Fu una cosa nazionale. E si iniziò un’esperienza perché era anche un’esperienza che restituiva alla società intera qualche iniziativa. E con una parte di quei soldi finanziamo anche le attività formative rivolte alla formazione di peer educator nell’ambito della popolazione adolescente giovane che si occupava di prevenzione dell’Aids. Perché stava nascendo questa esperienza molto interessante che in Italia aveva avuto inizio proprio a Novara, in Piemonte, poi a Torino, poi è stata diffusa in molte altre [città], dove la peer education si usava come metodologia molto utile per quanto riguardava la prevenzione dell’Aids fra le persone adolescenti e giovani.

Nell’ambito della prevenzione si deve tener conto della forte differenza di approccio delle Istituzioni e la cronica carenza di risorse dell’associazionismo italiano. E vi erano numerose differenze culturali che non ci consentivano di copiare direttamente le campagne di prevenzione di altri paesi, soprattutto quelli del Nord Europa.

Per esempio ricordo una delle prime campagne che avevo visto, australiana, 1985-86, prima campagna contro l’Aids australiana, non mi ricordo più chi l’aveva firmata, ed era sostanzialmente una ripresa da dietro di una persona che falciava, tutto nero, tutto buio, e si sentiva il rumore della falce. Sa il rumore quando la falce taglia qualcosa? Shhhhuu. Così. E poi, andando avanti nelle riprese, si allargava un po’ il campo e si capiva che questa era la Morte che stava uccidendo le persone. E di sottofondo il testo era “l’Aids colpisce anche te. Sbrigati prima che ti stenda.” Ecco, io ne uscì fuori steso da quella proiezione. E quello è un messaggio che poi abbiamo capito dopo che non andava bene, che c’era qualche cosa di—che bisognava lavorare in un’altra dimensione. Perché l’Aids era associato al sesso, il sesso era associato allegria, gioia, vita, a tutti i valori positivi. E quindi, se si voleva cambiare qualcosa, bisognava lavorare su quello e non sulla paura. Insomma, questo è un altro discorso. Ecco, in poche parole sono questi i contatti che noi abbiamo avuto all’estero. Poi, ovviamente, ogni tanto avevamo notizia di qualcuno che moriva di Aids, qualche nostro amico o qualche nostro corrispondente che moriva, che rimaneva sotto i colpi delle infezioni. Insomma, queste cose qua però erano notizie.

Rachel Love: [00:44:59]È molto interessante questa storia. Vorrei approfondire un po’. Si ricorda i primi contatti con i Gay Men’s Health Crisis? Era proprio a quello congresso internazionale di ILGA o prima?

Enzo Cucco: [00:45:16]No, no. Noi l’abbiamo conosciuto lì. Ed erano proprio i primi mesi. Perché se non sbaglio—adesso potrei sbagliarmi—ma se non sbaglio il primo gruppo che era quello di New York si costituiva proprio in quei mesi. E lì a Washington partecipò qualcuno, una delegazione, che animò la discussione in un modo incredibile. Io mi ricordo che, cosa inaudita per l’Italia, a Washington quell’anno, il Congresso organizzò un hearing, un ascolto delle delegazioni che si erano presentate nella conferenza e noi andammo nel palazzo del Congresso di Washington e c’era questo rappresentante del governo che parlò e parlò anche dell’inizio dell’Aids. Fuori da questa hearing ci fu un bisticcio micidiale fra rappresentanti di gruppi omosessuali perché loro dicevano, “No, non avresti dovuto parlare di Aids, perché l’Aids non è un’emergenza!” Questa era la situazione. Pensi soltanto che quando noi siamo tornati, nel settembre 1982 hanno incominciato a chiudere le saune gay di New York, proprio, che erano quelle che noi avevamo frequentato. E noi eravamo nel terrore, almeno io e Bruno che ci eravamo andati. Gli italiani che avevano avuto relazioni e rapporti in questo modo erano davvero molto, molto preoccupati.

Rachel Love: [00:47:07]E poi lei è andato ad altri congressi internazionali dopo quello del ’82.

Enzo Cucco: [00:47:14]No, no. C’è stato quello dell’82 di ILGA Europe. Poi abbiamo avuto un congresso ILGA in Italia, però è stato nell’81, quindi prima dell’Aids, prima della conoscenza di questa urgenza. E poi c’è stata la conferenza del ’91, invece, che  stato a Firenze, è stata in Italia, e quindi ho partecipato, io e il mio gruppo, ma abbiamo partecipato soprattutto da posizioni molto critiche. Perché l’associazionismo era allora molto critico e manifestava la sua criticità, cioè partecipavamo alle manifestazioni e i cortei che ci furono, ma erano tutti di critica rispetto agli stati che si muovevano poco e male.

Rachel Love: [00:48:08]E ho visto anche nello scritto che mi ha mandato che FUORI! ha anche protestato ai concerti per raccogliere fondi–cosa era la posizione da FUORI!? Cos’era la critica?

Enzo Cucco: [00:48:22]Allora, questa è un aspetto della storia che deve essere secondo me più indagato. Io ero presente, noi eravamo presenti, ovviamente però siamo portatori di una versione. L’allora presidente dell’ANLAIDS Lombardia, Mauro Moroni, che era il primario di malattie infettive dell’ospedale, era considerato una delle autorità italiane sull’Aids. Lui aveva partecipato a una trasmissione televisiva insieme ad Angelo, dove aveva utilizzato una definizione dove aveva parlato degli omosessuali e delle persone tossicodipendenti come categorie a rischio. E invece, come noi sappiamo, non sono le persone che sono categorie a rischio, ma sono i loro comportamenti che possono essere a rischio. Questo, ahimè, purtroppo ha funzionato come una sorta di lasciapassare per un sacco di comportamenti che non andavano bene tra le persone. E in quel contesto lì ci fu un piccolo scontro con Angelo Pezzana, perché era una trasmissione televisiva anche abbastanza nota. Lui poi scrisse una lettera per scusarsi perché non lo avevamo querelato, “Non intendevo le categorie a rischio, intendevo i comportamenti a rischio,” eccetera. Ma nel frattempo la cosa che ci aveva fatto imbufalire è che la nascente rivista gay a Milano, che si chiamava allora Babilonia, mi sembra, che era proprio è nata in quei mesi lì, ha organizzato un party che aveva come scopo anche quello di raccogliere fondi, non soltanto, ma anche di raccogliere fondi. Voleva un po’ copiare quello che si faceva all’estero, negli Stati Uniti, una cosa molto chic, non tenendo assolutamente conto di queste polemiche. Noi andammo a Milano a contestare questa cosa che si svolgeva in un cinema, il cinema Cristallo, se non sbaglio, che adesso non c’è più, con i nostri cartelloni, con la nostra associazione. E fu per chi lo visse, lo strascico di quella divisione che c’era stata nel movimento fra FUORI! e Lambda che poi diede vita anche a Babilonia, perché sostanzialmente erano le stesse persone più o meno che l’avevano fatto. E i motivi erano questi qua. Adesso è tutto ricomposto con le persone che allora l’avevano organizzato, c’è un rapporto normale, anzi non c’è nessun conflitto. Allora c’era molto conflitto, molto conflitto per questo motivo. Ma perché il FUORI! ha sempre avuto una posizione in quegli anni lì molto integralista cioè se una cosa è sbagliata è sbagliata, non ci sono eccezioni. Questo accade prima della lettera di scuse. Stiamo parlando di anni in cui si parlava su tutti i quotidiani, in tutte le televisioni del cancro gay, cioè, c’era una disinformazione totale. Era molto importante il controllo dell’informazione da questo punto di vista.

Rachel Love: [00:53:15]Si, infatti, parlando della disinformazione o notizie false, dopo questo fascicolo che avete creato con le informazioni dal Congresso a Washington, c’era ancora un bisogno di tradurre informazioni che arrivavano?

Enzo Cucco: [00:53:37]Allora io dividerei il mondo scientifico specialistico, cioè quello delle malattie infettive, che ha avuto soltanto dei rari esempi di ignoranza, ignoranza intesa come non conoscenza dei fatti. Nel senso che loro erano più avvezzi a leggere letteratura che arrivava da quei paesi, soprattutto dagli Stati Uniti secondo me, ma anche dall’Inghilterra. E quindi ci volle un po’, ma poi capirono di che cosa si trattava. I medici che non erano medici di malattie infettive hanno creato un sacco di guai, un sacco di guai. E coloro che non erano medici crearono aspettative totalmente false: la cura con la maglietta bagnata del sudore, la cura con le vitamine, la cura con l’imposizione delle mani, con la dieta ayurvedica. Ne ho viste, sentite, di cotte e di crude. Anche noi, con le persone che assistevamo, abbiamo avuto un sacco di polemiche e scontri anche molto antipatici, perché a una persona che sta—stiamo parlando degli anni 80, quindi si moriva di Aids allora—a una persona che sta morendo come fai a dirgli, “Guarda che quello che stai facendo è acqua fresca, non ti serve a niente”? Io mi ricordo che Bruno [Di Donato] a un certo punto interruppe nell’89, ’90, interruppe tutte le cure e si curava, si fa per dire, soltanto con una dieta macrobiotica. Le prime terapie sono arrivate nel ’93-94, quindi probabilmente se si fosse curato—Ma lui ancora nel letto dell’ospedale, diceva, “No, no, assolutamente.” E ha sempre rifiutato medici e i medicinali. Cioè, “Datemi soltanto qualcosa per bere e per mangiare,” anche quando era scheletrico nel letto. Difatti fu drammatico per tutti noi. Però, insomma, non ricordiamo queste cose. Un’altra cosa di cui tener conto è la differenza sostanziale che c’è stata sui tempi di coinvolgimento dello star system e della Moda  tra USA, Gran Bretagna e Italia: ovviamente molto è dipeso dal numero di casi, ma anche dei grandi marchi e dei grandi personaggi, che magari donavano negli USA ma in Italia nulla. Forse con l’eccezione di Moschino, e fino alla prima edizione di Convivio.

Rachel Love: [01:00:14]Perché, secondo lei?

Enzo Cucco: [01:00:14]  lo stesso motivo per cui, per esempio, i grandi marchi italiani hanno sempre cominciato a fare pubblicità sulle riviste gay americane e non sulle riviste gay italiane. E lo stesso motivo per cui, per esempio, Armani ha concesso un’intervista a quella rivista gay americana famosissima…

Rachel Love: [01:00:43]The Advocate?

Enzo Cucco: [01:00:43]The Advocate, esatto, ma anche sul Sunday Times, dove dichiarò la sua omosessualità e non l’aveva mai detto in Italia. Era un segreto di Pulcinella, perché tutti sapevano che Armani, Valentino, Dolce e Gabbana, e chi più ne ha più ne metta, avevano avuto esperienze omosessuali. Però non ne parlavano mai in pubblico e soprattutto non intervenivano in Italia a favore di organizzazioni omosessuali. Cosa che invece in Francia, per esempio con Pierre Bergè, l’editore di Tatu per tanto tempo, l’ex-compagno di Yves Saint Laurent.

Tutto è cambiato, soprattutto a livello pubblico e comunicativo, con le iniziative di Liz Taylor ed in Italia con Gianni Versace e la sua idea di Convivio. Un caso a parte è quello di Moschino, attivo nell’assistenza e nella prevenzione il cui progetto di casa vacanze per bambini con Hiv sviluppato con Anlaids Lombardia è morto insieme a lui nel 1994.

Rachel Love: [01:03:51]Non vorrei trattenerla troppo, però ha concluso il suo saggio con un richiamo all’impatto dell’Aids e HIV sul movimento LGBTQ in Italia. Non so se avrebbe qualche pensiero–

Enzo Cucco: [01:04:23]Allora ricapitoliamo. Stavamo vivendo anni di grande transizione. Il FUORI! si stava sgretolando come organizzazione nazionale, per quello che ho detto, c’era il congresso. Arcigay era appena nato nell’80, ma solo la sezione di Palermo. L’Arcigay nasce ufficialmente come organizzazione nazionale nell’85, quindi più avanti. Chi si occupava dell’attivismo omosessuale era diviso. Da una parte coloro che si occupavano anche di Aids e che presto divenne l’unico vero, grande loro intervento, perché era un’emergenza. E crearono nuovi gruppi, quelli che ho citato. Il Circolo Mario Mieli praticamente in quegli anni si occupò solo di Aids. Noi di Torino ci trasformiamo, ci occupavamo solo di questa materia. Anche negli altri gruppi fu così. E gli altri, invece, che volevano, che ritenevano che questa fosse un’interruzione della realtà della quale si viveva, ma che non creavano nuovi gruppi di intervento. E quindi diciamo che ci fu una risposta del cosiddetto movimento omosessuale. Ci fu una risposta, ma non all’altezza della situazione. Avremmo potuto fare di più. In secondo luogo quelli che erano arrabbiati per quello che succedeva, lo dico per semplificare, gli arrabbiati sono tutti morti nei primissimi anni in Italia. Non so come dire. Cioè i primi attivisti del FUORI!, degli altri gruppi gay, sono tutti morti entro il ’91, ’92, prima che nascessero le esperienze di ACT UP in Europa e soprattutto in Italia.

Quindi c’era questa forza che ACT UP ha dato al movimento internazionale che era in qualche modo riassorbita in Italia da questa esperienza iniziale, quando ACT UP assolutamente non esisteva. Gli arrabbiati eravamo noi, abbiamo fatto tanti di quei casini. Io mi ricordo io personalmente che andavo a urlare e a bisticciare con i primari dell’ospedale perché per un motivo molto banale. Se ci penso adesso mi viene da ridere, ma c’era da piangere. C’era la coda delle persone che si facevano gli esami normalmente. Ed erano le persone sedute su delle panche in un corridoio. Usciva da una porta un’infermiera e diceva, “Enzo Cucco. Lei che ha la candida, si è beccato anche la—” Ad alta voce! Dove tutti sentivano. Allora lei capisce che in un luogo dove c’erano 30, 40, 50 persone, tutte malate, tutti spaventatissime, avere questa mancanza di tatto. E noi reagivamo in quei contesti in un modo furioso. E poi gli infermieri, i medici hanno capito. E adesso, ovviamente, non è più così. Perché c’è stato questo anche. Cioè l’Aids ha avuto come conseguenza il fatto che di fronte alla reazione di molti attivisti militanti c’è stata la consapevolezza della classe medica infermieristica. C’è stata in Italia. Lasciamo perdere che ci sia stata anche per motivi di pagamento, perché forse non tutti sanno, ma in Italia, se facevi l’infermiere in un reparto malattie infettive o un medico nel reparto malattie infettive, avevi un contributo in più per lavorare.

Cosa che mi ha sempre lasciato un po’ così. Però è stato un modo per superare una situazione, perché non voleva nessuno andare a lavorare nei reparti di malattie infettive di quegli anni. Va bene così. Cioè è andata bene così. Da questo punto di vista gli arrabbiati siamo stati all’inizio noi, non so come dire. Prima. E quando sono arrivati gli altri arrabbiati, quelli di ACT UP, quelli più fondamentalisti, quelli più duri, quelli senza compromesso—che poi sono scesi a compromessi anche loro, ma questo è un altro discorso—e che addirittura manifestavano contro il Gay Men’s Health Crisis e contro le organizzazioni che avevano fatto assistenza fino a quel momento su posizioni diverse. E in Italia non trovarono presa perché la maggior parte della presa era fatta da associazioni che già, anche se nel conflitto, anche se all’interno di una situazione molto complessa, molto frastagliata, già collaboravano con le istituzioni pubbliche e quindi era una cosa un po’ diversa mettersi contro l’Istituto superiore di Sanità dall’esterno, oppure ci collaboravi insieme. Per esempio, io mi ricordo di essere stato docente per l’Istituto Superiore Sanità, per due, tre edizioni, per i corsi che facevano agli infermieri, ai medici, sull’Aids. E raccontavo l’esperienza delle associazioni perché non lo sapevano. Perché era–

Rachel Love: [01:10:23]Quand’era questa esperienza?

Enzo Cucco: [01:10:25]Fine anni ’80, sono cominciati i corsi e mi hanno chiamato perché allora ero uno di quelli più attivi a livello nazionale. E poi stavo dicendo, quando sono nati e sono andati avanti, la Lila da una parte e l’ANLAIDS dell’altro. Lila da una parte, Arcigay dall’altra, ANLAIDS era un terzo soggetto, ma era una cosa un po’ diversa. C’è una cosa che è accaduta che—non detto secondo me nella situazione politica che però in qualche modo bisogna sfatare perché sa com’è, quando le cose si dicono, poi dopo vengono anche ridimensionate—La cosa che si diceva allora, magari sottovoce, magari nelle riunioni, è che di tutti i gay malati si occupava l’Arcigay e di tutti i tossicodipendenti malati si occupava la Lila, che era una stupidaggine assoluta. Dietro questo pensiero c’era il retropensiero mal pensante—Lo dico io, eh, che ero un sostenitore di questo pensiero—del fatto che da quando è entrata in vigore la legge 135/1990, quindi nella prima metà del ‘90, mi sembra, in avanti sono arrivati molti soldi, molti soldi da gestire. Mai completamente arrivati, per quanto riguarda gli investimenti edilizi, ma arrivati tantissimo per quanto riguarda la formazione, l’aggiornamento, la ricerca. E queste organizzazioni, dicendosi, autodefinendosi come i rappresentanti della popolazione omosessuale e della popolazione tossicodipendente, toglievano spazio ad altre esperienze.

Ci furono scontri molto forti, al punto che proprio fra ’91 e ’92 noi, l’ASA di Milano, il Circolo Mario Mieli e altre associazioni sparse nel territorio—mi ricordo erano molto attive le associazioni bolognesi della Lila e di Firenze della Lila, che però erano in contrasto con la Lila nazionale, e c’era anche un gruppo a Genova molto attivo—Facemmo nascere quella che ancora oggi si chiama Forum Aids Italia, che era la terza associazione che non era l’ANLAIDS, che non era le organizzazioni cattoliche che si occupavano anche di Aids ma di tante altre cose ancora, che non erano Arcigay. Le nostre associazioni erano nate all’interno della comunità omosessuale, ma prestissimo divennero aperte a tutti quanti. Quindi, ecco, questo è una cosa che secondo me forse c’è bisogno che passe ancora un po’ di tempo, ma bisogna raccontarla. Bisogna raccontarla perché in Italia è un tema molto delicato ma anche molto sentito, cioè l’assistenza pagata. Non so come dirle. In Italia c’è questo comportamento che io ritengo un comportamento pressoché criminale, per cui alcune organizzazioni non si muovono mai finché non c’è un finanziamento collegato che è l’esatto contrario di cosa significa fare volontariato, essere volontari. Se noi avessimo aspettato che gli interventi dello Stato fossero iniziati, avremmo perso otto, nove anni in Italia.

È chiaro che noi abbiamo fatto poco rispetto a quello che era necessario, ma quando tu avevi un ministro che diceva l’Aids se lo becca solo chi lo cerca, cosa puoi fare tu con le tue poche risorse? Noi difatti urlavamo forte e facevamo manifestazioni. Ma c’era questa impedimento. Quando sono arrivati i soldi, come si dice a Napoli, hanno fatto risvegliare anche i morti e quindi tutte le associazioni—Io non sto contestando l’uso dei soldi, eh, per carità, me ne guardo bene. I soldi, anche quelli pubblici, servono e avrebbero dovuto cominciare prima a finanziare le esperienze, anche le esperienze delle associazioni. Quindi non so, non è una questione di essere contrario ai soldi, figuriamoci, sono d’accordo. Ma l’azione delle associazioni di volontariato si giustifica perché raggiungono luoghi e persone che in Italia il servizio sanitario non raggiunge. Si giustifica solo in questo motivo. Chi andava per strada ad incontrare le persone tossicodipendenti o persone che si prostituivano, per regalargli delle siringhe, per dargli dei profilattici, per parlare, per discutere? Stiamo parlando di questo. I servizi pubblici non avevano assolutamente possibilità di farlo né capacità, manco adesso anche se si sono aperti. Ma non è che vanno per strada a incontrare queste persone. E le associazioni sono lo strumento giusto per fare questa cosa.

Rachel Love: [01:16:06]Certo.

Enzo Cucco: [01:16:08]In questo senso i finanziamenti pubblici hanno un senso. Però, dal punto di vista dell’associazionismo che intervenire solo se lo Stato ti aiuta, allora no, non va bene. Tu intervieni a prescindere e ti muovi nei confronti dello Stato per fare finanziare, semmai. Questa è una mia posizione, una posizione minoritaria del movimento, da questo punto di vista. Minoritaria semplicemente perché la gente non ci pensa. Poi magari ci pensano e scopro che molta gente è d’accordo con me. Le grandi organizzazioni hanno sempre fatto così, che è stato fra l’altro uno dei motivi per cui bisticciavano all’inizio ACT UP, e il Gay Men’s Health Crisis. Degli Stati Uniti ne so meno, ma sicuramente—perché me lo ricordo in Francia e in Gran Bretagna. C’era ACT UP che denunciava le organizzazioni più importanti di allora di quel periodo – in Europa si. In Francia si chiamava AIDES. Perché questa storia di ricevere contributi per svolgere un’attività erano—si spingevano fino a un certo punto a criticare. Anche perché per un’associazione è sempre molto critico, stare in una posizione critica rispetto allo Stato per ricevere al tempo stesso contributi. O sei davvero molto bravo, davvero molto bravo in questa azione, oppure si possono innescare dei meccanismi brutti, brutti. Brutti politicamente, poi qui in Italia abbiamo avuto anche gli scandali economici, tanto per non farci mancare niente.

In Italia abbiamo anche avuto scandali su questo tema. Sul sangue trasfuso, per esempio. E poi c’è il capitolo dei rapporti con le case produttrici di farmaci sempre guardato con sospetto ma sempre attivo, almeno dagli anni 90 in avanti. Dopo [Enrico] Barzaghi, dopo Stefano Marcoaldi, dopo Bruno Di Donato diventarono altre le persone sieropositive che in pubblico parlavano della loro sieropositività. La storia sociale dell’Aids in Italia è anche intrecciata alla loro storia.


Transcript of interview on 18 May 2022

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