Interview with Filippo Von Schloesser

Tuesday 19 July 2022

Filippo Von Schloesser was born in Rome in 1949. He has served as the president of NADIR Onlus and as a member of the European AIDS Treatment Group.


Rachel Love: [00:00:00] Io sono Rachel Love e sono qua con Filippo Von Schloesser, il 30 marzo 2022. Potremmo anche cominciare dal European Aids Treatment Group [EATG], se vuoi, che è sicuramente un’organizzazione importantissima.

Filippo Von Schloesser: [00:00:09] Sì, nella mia vita EATG è arrivata dopo dieci anni dalla mia scoperta di avere l’HIV. Beh, io l’ho saputo nel 1987. Stiamo parlando quindi di 34 anni fa e quando non c’era veramente nulla. L’unica cosa che mi diceva, mi poteva–allora lo scoprii perché il mio compagno aveva avuto una pleurite. Ed era praticamente in coma. Quindi la madre–io parlavo con la madre in un altro paese del mondo, nelle Americhe–e la mamma mi diceva, “Guarda, sarebbe il caso che facessi un test perché è venuto qualcosa fuori, qualcosa di strano, e che non conosciamo. C’è qualche elemento che il laboratorio non sa spiegare su questa pleurite.” Andai a fare il test e scoprii in dieci giorni che ero HIV positivo e il medico–io andai privatamente da un medico perché non conoscevo le strutture. Venivo da undici anni di aver lavorato all’estero, quindi non conoscevo assolutamente le strutture. L’unica cosa che sapevo prima del 1987 era che esisteva–io andavo molto a New York per lavoro–che esisteva il gay cancer e per me il gay cancer era qualcosa che dico, “Prima o poi mi tocca.” O per ragioni familiari o per ragioni di contatto. Non sappiamo se è genetico, se è stile di vita, se è–che cosa sia. Però quando nel 1987 ho avuto la notizia sono rimasto molto sorpreso perché ero stato una persona, diciamo, massima monogama, comunque seria. […] C’è un periodo immediatamente dopo [che scopri di essere sieropositivo] in cui c’è un’esplosione nel cervello in cui una persona si colpevolizza di qualsiasi gesto che ha fatto, qualsiasi cosa, e trova in qualsiasi cosa l’errore, no? L’errore che lo ha portato a quello. Ed era nel 1987, nonostante i medici dicessero che non era una sentenza di morte, lo era. Ed in effetti poi, pur trasformandosi negli anni, nei decenni, questo concetto da “Non è una sentenza di morte”–Oggi è vero, ma comunque è una sentenza di qualche cosa di diverso ancora oggi, nelle proprie abitudini e nel proprio rapportarsi al resto del mondo.

Dunque ritorniamo e diciamo gli episodi più buffi di un’epoca, di un periodo strano, di un periodo spaventato. Intanto vivevo con mia madre perché mio padre era morto da poco ed ero appena tornato dall’estero. Avevo già 37, 38 anni, quindi non ero neanche più bambino. L’unico punto fermo che mi sono messo nella mia vita da sempre è “Questa cosa non la dico a mia madre.” Perché avevo voglia di condividere, ma non avevo voglia di dare un dolore a una persona che magari, se era vero quello che dicevano i medici, forse non avrebbe neanche avuto mai bisogno di saperlo. E in effetti così è stato, perché poi lei ha seguito il corso della sua vita. Io ho cominciato ad avere le terapie e sarebbe stato una preoccupazione inutile per una madre che aveva un figlio unico e quindi–

Rachel Love: [00:04:59] Sarà stato un peso enorme per te.

Filippo Von Schloesser: [00:05:00] È stato un peso enorme per me, però io ho–dopo quella pleurite del mio compagno, in Italia cominciava ad arrivare l’AZT e invece nel suo paese no. In America Latina non c’era la terapia e quindi chiesi al mio medico se poteva venire per avere un minimo di terapie e rimettersi in piedi. E il medico mi rispose in una maniera diversa dal solito, dicendomi, “La Repubblica Italiana garantisce la salute a tutte le persone presenti nel territorio italiano.” E questa fu quella frase per cui ci ha cambiato la vita e la nostra relazione ha potuto ricominciare a Roma e lui ha avuto accesso all’AZT. Un giorno prima ancora del nostro rincontro–mi ricordo che era dicembre dell’87, avevo appena avuto la diagnosi e cambiava la stagione, qui a dicembre inizia l’inverno. E avevo assolutamente bisogno, venendo da un paese caldo, di comprarmi un paio di scarpe invernali. E andai dal medico perché gli dissi, “Vale la pena comprarle? Io non so se mi sveglio domani mattina.” E allora lui mi spiegò, mi tranquillizzò, “Compra le scarpe.” E penso che non so neanche più come fossero quelle scarpe per quanto tempo è passato. E così anch’io poi ebbi accesso–anzi, quel giorno stesso delle scarpe lui aveva nella sua scrivania davanti a sé due fogli in fotocopia. E il titolo era “Zidovudine.” Lui stava leggendo cosa fosse l’AZT in quell’occasione. E diceva, “Guarda, forse c’è un farmaco in arrivo che già esistente e non sappiamo ancora quanto e come funzionerà, perché non ne abbiamo esperienza. Però dicono che funziona sui retrovirus.” Lo avevano sviluppato inizialmente per i cani, questo avevo saputo.

Filippo Von Schloesser: [00:07:57] E dopo pochi mesi iniziò l’accesso alla zidovudine. E a quell’epoca era molto, nel senso che si prendeva quattro volte al giorno, quindi una volta sicuramente era di notte mentre si dormiva. E i medici erano molto credibili e quindi io ci tenevo ad essere aderente alla terapia e quindi le mie quattro volte al giorno me le facevo tutte. Saltavo una sola dose alla settimana che era il sabato notte, non volevo rotture di scatole.

Filippo Von Schloesser: [00:08:45] E così andò avanti perfettamente con questo miracolo fino al 1992, febbraio, che dovetti andare a Venezia. Io lavoravo nell’industria militare con la NATO e il mio interface era il responsabile militare della sistemistica di Early Warning europea. E andammo a Venezia perché c’era un impianto da mostrare alla NATO. E lì–Venezia, la città più umida, forse al mondo–e lì senti qualcosa di strano, mi viene la febbre. Tornai a Roma dopo una settimana e i medici mi guardavano. C’era una dottoressa che mi disse che era il malato immaginario perché mi si vedeva bene. E invece l’altro medico che mi ha seguito, ed è ancora oggi il mio amico, mi disse, “Guarda che qua non è che, non si tratta di, andiamo a vedere in laboratorio.” Mi fece quel piccolo tampone per la tubercolosi e il braccio esplose. Avevo una tubercolosi galoppante, il che dimostrava soprattutto che ero resistente all’AZT. E non c’era altro. Però, fortunatamente lui prontamente mi curò la tubercolosi e poi arrivò il DDI, il Videx, che era una polvere. Per cui era difficile sbagliare le quantità, andava preso prima di mangiare, a digiuno. E nel mio caso, se non mangiavo nella mezz’ora seguente, il DDI diventava diarrea. Per cui era impossibile andare al ristorante perché non si sa quando il cameriere ti porta da mangiare. Se sono tre quarti d’ora è un problema. Morale: funzionò. Funzionò anche il DDI, diciamo dalla fine del ’92 fino al ’94. E nel 94 cominciavano ad esserci dei test più sofisticati, per cui venne fuori prima che avessi delle malattie, venne fuori che ero resistente. Nel frattempo io avevo fatto un percorso, avendo molti amici a New York, che purtroppo morivano tutti. Scomparivano. A quell’epoca non c’erano i cellulari ancora e quindi si chiamavano i numeri di casa e improvvisamente–o anche quelli di ufficio–e improvvisamente l’extension non rispondeva. Il numero di casa non rispondeva. Le famiglie avevano preso questi poveri ragazzi e li avevano portati al cimitero degli elefanti. […] All’inizio degli anni ’90, diventava sempre più evidente che la situazione era macroscopica. Non aveva frontiere.

Filippo Von Schloesser: [00:12:42] E mentre negli anni ’80 io persi–alla fine degli anni ’80, prima ancora di sapere che io avevo l’HIV–persi il mio migliore amico in Venezuela con un drammatico e velocissimo cancro al cervello per cui un giorno stava bene, il giorno dopo era operato e poi era morto. Nella mia testa non si riusciva a capire una cosa del genere ancora, sto parlando dell’86, ’87. E quindi, tornando a quando ebbi accesso al Videx, ero sempre però in monoterapia, la monoterapia. Nel ’94, immediatamente dopo che ebbi accesso alla Videx, venne fuori lo studio Delta, mi pare lo studio Caesar. C’erano degli studi che avevano dei nomi a quell’epoca (che ovviamente non ricordo) e che avevano dimostrato che due era meglio di uno in termini di farmaci e forse tre era meglio di due, ma non era ancora sicuro. E io ero abbastanza arrabbiato perché–con me stesso–perché dicevo, “Ma se io mi prendo anche questi tre farmaci che saranno potenti, difficili, complicati, intollerabili, quanto tempo durerà il mio fegato e il mio corpo quando si spappola tutto questo insieme?” In effetti io cominciai a fare DDI con AZT che era come dire andiamo a vedere se anche la combinazione è resistente. Però funzionò. E funzionò qualche mese. Poi arrivò, quasi subito, per me un altro farmaco che fu miracoloso, adesso è stato addirittura proibito, che era il DDC, si chiamava Hivid, ed era della Roche. Ed era un farmaco che chiunque prendeva diminuiva CD4 e aveva neuropatia periferica.

Filippo Von Schloesser: [00:15:13] E io lo prendevo come fossero le mentine, le caramelle. Addirittura non facevo neanche attenzione agli orari, perché vabbè, “Se ne prendo una in più non mi fa male,” e stavo benissimo. E questo è stato il bridge che mi ha portato a un giorno in una strada di New York, nel Village. Fui avvicinato da una ragazza con un foglietto e pensavo–come fanno con i ristoranti, no?–pensavo che fosse una cosa del genere quando gli diedi un’occhiata. E siccome continuavo ad essere sempre aggiornato su quello che avrebbe portato la ricerca–secondo me quello è stato sempre il fattore chiave che poi è stato correttamente interpretato dalla presidente di un’altra associazione. Sì, sapevo che lamivudine sarebbe stata messa presto in commercio e questo foglietto mi invitava a entrare nel grandissimo expanded access che ha fatto la lamivudine, che è stato il più grande expanded access del mondo e della storia della medicina. Credo che abbiano fatto un expanded access, non voglio dire numeri, ma insomma era il più grande. C’era un numero verde, un toll-free number, che bisognava chiamare–se hai bisogno di lamivudine, chiama questo numero e parla con la dottoressa Hicks. Io feci questo numero, chiamai, e la dottoressa mi disse, “Sì, senz’altro. Mi fa fare un fax dal suo medico.” E aggiunse–“Ma stai in Italia?” “Non è un problema.”

Filippo Von Schloesser: [00:17:25] Chiamai immediatamente il medico, fece il fax. Il farmaco arrivò a Roma prima di me. E quindi ebbi accesso alla lamivudine. Ma la lamivudine io l’avevo da solo perché gli altri erano bruciati. Però mi diede un altro bridge. Qui si viveva di ponte in ponte, tant’è vero che nel nostro sito [del Nadir], in molti discorsi nostri, c’è sempre questo segno di due strisce così perché noi abbiamo vissuto sempre di ponti. E fu il ponte per arrivare alla triplice. Ma qua cambia la mia vita. Persi il mio lavoro con l’industria militare perché l’Italia aveva deciso di diminuire il budget, e quindi l’industria militare non sarebbe andata avanti, e mi trovai senza lavoro. E allora dissi, “Cosa voglio fare?” Il primo pensiero in questo momento che ho è quello di occuparmi della mia salute. Sono già passati quasi dieci anni, nel ‘96, sono già passati quasi dieci anni, quindi bisogna che io faccia qualche cosa per rimanere informato e per la ricerca e per chi mi sta intorno, perché continuavano ad aumentare le visite al cimitero. Tra l’altro nel frattempo era morto anche il mio migliore amico a Roma, il mio amico dell’infanzia, il quale non aveva mai avuto il coraggio di dirmi che aveva l’HIV quando aveva il sarcoma di Kaposi in faccia. E io lo vidi e–lui aveva una galleria, una galleria di quadri. E lui mi disse, “Eh sì, questo è stato lo stress, perché è morto il mio patrigno.”

Filippo Von Schloesser: [00:19:37] E invece no, era un sarcoma di Kaposi. Non so se gli era stato diagnosticato, se lui non aveva avuto il coraggio di dirmelo. Dopo dieci giorni era morto. E io mi ricordo che viveva un secondo piano di un palazzo nella Roma storica e senza ascensore. E quando mi venne detto dal padre andai a prendere un mazzo di fiori e non riuscì a fare quei due piani che mi portavano su. Poi arrivai e quando entrai nella stanza dov’era messo già nella bara, non l’ho riconosciuto. Pensavo che fosse una–Il rifiuto era pensare che mi avessero preso in giro, no? Sembrava un manichino di solo ossa. E passò anche quello. Però nel 1996 era entrata in scena Merck. Merck stava sviluppando il primo inibitore della proteasi ed io comunque partecipavo a un’associazione che era un’associazione più che altro di medici. Ma siccome mi interessava l’informazione, l’associazione di medici non era community-based, però mi forniva quel minimo di informazione che mi serviva per diminuire lo stato d’ansia. E nel 1996 io avevo contattato la Merck che mi invitò al lancio dell’Indinavir a Ginevra, nel luglio 1996, dove partecipai e cominciai a vedere […] di persona quanta gente si stava occupando della ricerca della HIV, con quante idee, con quante ipotesi, con quante intuizioni il mondo stava dando una risposta a quello che era la nostra paura, il nostro futuro e soprattutto la dimensione di quello che stava venendo fuori, che non avrebbe colpito alla lunga soltanto alcuni, ma veramente tutti.

Filippo Von Schloesser: [00:22:28] In effetti in quel periodo c’era molta ignoranza. E ricordo che quando andavo, nei giorni in cui andavo all’ospedale incontravo ragazze che erano state infettate da un fidanzato, il quale precedentemente aveva fatto– Aveva avuto un comportamento quando non si sapeva neanche di che cosa si stesse parlando e aveva attaccato alla sua fidanzata l’HIV. E c’era questa montagna di ragazze disperate che sapevano di non avere delle risposte e di non sapere come affrontare il tema neanche con le proprie famiglie, neanche con il proprio futuro, neanche con l’idea di avere un bambino, di avere un figlio. E quindi improvvisamente c’era un blocco, un blocco che diciamo io, grazie a Dio, non ho vissuto perché io sono stato attivamente partecipe della vita di quegli anni. Quindi dico, se ho partecipato c’è una conseguenza, sono protagonista. Cioè non mi sento violentato in primo luogo e in secondo luogo mi sono detto anche bene. Ho fatto la parte della vita della mia vita più bella perché avevo 38 anni e avevo vissuto in quattro continenti già, e avevo fatto dei lavori incredibili, incredibilmente interessanti, fino alla selva amazzonica. Quindi, dico, almeno, diciamo un pezzo di mondo l’ho visto. Bene nel ‘97, dopo l’incontro di Ginevra, ciò nel ’96 è l’incontro di Ginevra, io presi contatto con la persona responsabile per l’Istituto Superiore di Sanità dell’HIV, che era il dottor Stefano Vella, il quale mi disse–mi diede una serie di informazioni sul futuro. Mi disse, “Vieni più spesso alle conferenze se vedi che questo ti può essere utile. Non ti preoccupare, perché tanto le industrie farmaceutiche in questo periodo hanno molto bisogno di avere una cassa di risonanza attraverso la community che partecipa.”

Filippo Von Schloesser: [00:25:15] Cominciavano a venire fuori le idee da parte della dell’EMA [European Medicines Agency] e anche da parte dell’OMS, WHO [World Health Organization], sulla partecipazione della società civile. E quindi diciamo la mia presenza cominciava ad essere welcome. E così nel 1997, visto il dottor Vella inventò uno studio che si chiamava 384 e 388. Di fatto non esisteva, raccoglieva soltanto dei dati che non ce n’era neanche bisogno, ma era una scusa per dare un accesso agli inibitori della proteasi in Italia, al di fuori dalla burocrazia dell’AIFA, dell’Agenzia per il farmaco, che è l’agenzia, l’istituzione più retrograda, più idiota, più inutile, più farraginosa. L’Italia è sempre l’ultimo paese d’Europa ad avere l’approvazione di nuovi farmaci. Quindi Vella intuì che questo non era possibile perché non potevamo aspettare ancora un anno e ci diede questo studio 388 nel quale io rientrai ed ebbe accesso al Saquinavir, che era il primo inibitore della proteasi. Poi ho fatto tutto il giro degli inibitori della proteasi finché il mio colesterolo era impazzito e i medici, rendendosene conto, mi passarono ai non nucleosidici [NNRTI] che nel ’99, 2000 venivano fuori anche in Italia.

Filippo Von Schloesser: [00:27:22] Il primo fu l’efavirenz che fu un viaggio stupendo, perché mentre tutti vivevano malissimo gli incubi o il fatto di alzarsi la mattina e avere giramenti di testa, io mi divertivo da morire perché di notte mi svegliavo– vivevo con il mio compagno–ma di notte mi svegliavo ridendo, a voce alta, così forte che svegliavo il mio compagno e gli raccontavo il sogno. Il fatto era che rideva anche lui, pur non prendendo l’efavirenz, perché le storie che venivano nel mio inconscio erano veramente divertenti. E infatti il fatto di, la mattina, di alzarsi come su una barca in mezzo alla tempesta, tutto sommato mi divertiva perché tanto mi dicevano tutti, “Durerà 15 giorni.” E qui forse mi è durato anche un po’ di più, però poi dopo si è superato anche quello. E sono passato alla nevirapine. Ho fatto tutto il giro.

Filippo Von Schloesser: [00:28:36] Cosa succedeva nella società italiana nel frattempo? Nel 1997, dato che io avevo osato sfidare la conoscenza degli antiretrovirali partecipando alle conferenze, la mia associazione, quella che dicevo appunto basata su medici, mi cacciò via. Avevo osato sfidare la scienza. Essendo un uomo del popolo, un paziente, fui cacciato via, letteralmente. E c’erano due grandi associazioni a quell’epoca.

Filippo Von Schloesser: [00:29:40] Una era questa e una era la Lila, che è secondo me 100.000 volte più avanti di tutto il resto, di tutta la popolazione che vive affected or infected l’HIV. Il Presidente della Lila mi disse, appunto, […] “Questo trauma che ti ha dato quel medico cacciandoli via dall’associazione? Dovrà pagare.” E lo portò in tribunale. Lo portò in tribunale anche per altre cose e per gli attacchi tra la Lila e quest’altra associazione. Io chiesi allora di entrare alla Lila, ’97. Nel ‘97, però nel gruppo, nella mia associazione da cui mi avevano cacciato via, tutti qui solo a Roma eravamo in 17. I 17 che avevano saputo la storia decisero di seguire me, anzi che di rimanere nel gruppo. Ci rimasero una o due persone. E i 17 ci presentammo alla Lila di Roma perché essendo una federazione doveva essere la zona territoriale. La Lila di Roma ci disse, “Non possiamo accettarvi perché siete più di noi e quindi siete troppo pesanti, troppo ci sbilanciate. Il vostro tipo di cultura non è il nostro.” In effetti era così. Nell’ingresso della Lila di Roma c’era un ritratto di Che Guevara. Cosa c’entra? Per carità, amo il personaggio, ma non è il contesto. E quindi sì, che faccio, che non faccio. L’estate del 1998 avevo vari incontri con l’EATG perché all’interno dell’EATG erano nati dei gruppi non diciamo sovversivi, diciamo dei gruppi critici, e quindi io mi misi a lavorare molto con l’EATG facendo proprio una relazione da external auditor addirittura. E–

Rachel Love: [00:32:39] Posso chiedere critici di cosa? Tipo in che senso critici?

Filippo Von Schloesser: [00:32:43] Sia della gestione sia degli interessi su cui si doveva focalizzare l’EATG statutariamente come gruppo che si occupava dei treatment. Ed era il periodo caldo. In quel periodo fu proprio quando con Francois Houyez, Raffi Babakanian, e Michael Moelbbruck di Barcellona ci inventammo il European Community Advisory Board. E ovviamente ce lo inventammo, era il ’98, era a metà del ’98, e naturalmente dovevamo pensare […] non soltanto cosa fare, ma anche come strutturare. Perché essendo il nostro gruppo paneuropeo e la parola bianco in portoghese non è la stessa parola bianco in Russia. È diverso. Ma non lo è neanche tra Milano e Roma, eh, per carità. Quindi dico, immaginate quanto potesse essere difficile avere un linguaggio comune, obiettivi comuni, strutture comuni all’interno di un’Europa che ha paesi come la Svezia, ma l’Inghilterra rappresentata dagli immigrati dell’Uganda, che sono inglesi. La Grecia. E quindi, diciamo, è stato un lavoro molto difficile. Finalmente disegnammo European Advisory Board. Il gruppo cominciò a riunirsi, sfidando positivamente le industrie farmaceutiche a condividere con noi i dati dei farmaci in sviluppo. Ed in effetti io ho anche più che l’impressione, insomma mi è stato detto e confermato che il nostro apporto come community era sempre estremamente benvenuto perché faceva vedere le cose da una prospettiva pratica, realistica e non dell’assuntore della pillola, del prescrittore, ma di chi poi dovrà essere l’end user.

Filippo Von Schloesser: [00:35:51] Il mio apporto all’interno dell’EATG fu talmente–Lo lascio dire a te che cosa fu. Fui nominato prima tesoriere e poi, un anno dopo, presidente, e sono rimasto presidente dal 1997 al 2002. Sono stato il presidente più lungo dell’EATG. Era il famoso periodo ponte in cui cambiava completamente il concetto della terapia. La vicinanza al gruppo e il partecipare al gruppo mi aveva permesso di cominciare ad essere abbastanza, cioè di fare un lavoro che mi avrebbe portato a essere sufficientemente influential da permettermi di aprire un’associazione in Italia. Quindi, siccome era venuto subito dopo questo periodo della mia espulsione dall’associazione della mia non accettazione nella Lila, io decisi adesso mi scrivo lo statuto e scrissi lo statuto di Nadir. Lo scrissi chiuso ad Anzio a Ferragosto nella casa di mio fratellastro che poi–che non c’era–che poi sarebbe diventato Presidente del Consiglio in Italia. Mia madre era sposata con il marito. Però erano tutti in viaggio e io avevo questa pace per scrivere lo statuto. E quando mi riunì con i miei amici a settembre, che erano usciti dall’altra associazione, tutti firmarono, tutti parteciparono e tutti apprezzarono lo sforzo che–All’inizio diciamo tutta la nostra attività per il primo anno si espletava esclusivamente con incontri di auto-aiuto settimanali o quindicinali al secondo.

Filippo Von Schloesser: [00:38:25] E c’era veramente molta gente che veniva o a casa mia o a casa della mia vice, per avere notizie, per scambiare notizie, per diventare amica e per abbattere quel muro di solitudine, di emarginazione che avevamo negli anni ‘90 e di cui non [conoscevamo] ancora la chiave per poterne uscire. E così andò avanti per il primo anno. Nel 1999, un public affairs [representative] della GlaxoSmithKline, che a quell’epoca era GLAXO WELCOME ancora, mi disse, “Ma perché non fai dei seminari di formazione visto che i tuoi incontri vanno così bene?” E così cominciai a fare un seminario al mese, in una sala, in una sala di congressi e si affollava sempre di più, sempre di più. E durava generalmente tre, quattro ore di un pomeriggio per dieci mesi. Così passò il ‘99. Ed immediatamente– stranamente io non me l’aspettavo–tutti sono venuti a parlare ai seminari di Nadir. Ma veramente tutti, tutti–

Rachel Love: [00:39:57] Per esempio?

Filippo Von Schloesser: [00:40:07] Esatto, da chi sviluppava vaccini che poi non avrebbero portato a nulla, a chi studiava le patogenesi, i comportamenti, gli aspetti sociali, gli aspetti psicologici. Veramente è stato un plebiscito. E nel 2000 Glaxosmithkline, Glaxo Waltham ci propose di far diventare i seminari–di riportare i seminari in una newsletter. E così nacque Delta, la rivista che ancora oggi abbiamo, la stiamo editando proprio oggi. All’inizio era molto più orientata–erano sei numeri all’anno ed era molto più orientata all’informazione veloce. Stiamo parlando di un’altra epoca, di un’epoca di carta. Adesso stiamo parlando di un’epoca elettronica, quindi si può andare anche più sull’opinione, perché la notizia già c’è quando si viene a scrivere. E quindi con una certa frequenza, con una valanga di notizie, di informazioni, di training, di conferenze, di–

Filippo Von Schloesser: [00:41:28] E così, anche come presidente dell’EATG seguivo le conferenze internazionali. Io ho seguito la CROI [Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections] ininterrottamente dal 1999 a quest’anno. Sono uno dei più anziani, credo che siamo 3 o 4, perché sono molto amico del capo ufficio stampa. Mark [Aurigemma]–va beh, adesso mi vorrà. Il quale mi ha raccontato–sai che 25 anni alla CROI pochi sono riusciti a farli. Ma proprio anche tra gli scienziati. Quindi ritengo che sia un vanto e ritengo che sia–Spero che la testimonianza della mia vita possa essere di aiuto a qualsiasi persona [che] ha una patologia–nel caso nostro si comincia a usare impropriamente il termine–cronica.

Filippo Von Schloesser: [00:42:41] La nostra patologia non è cronica, non sarà mai definita cronica dall’Organizzazione mondiale della salute, perché le patologie croniche non possono essere infettive secondo le regole almeno statutarie dell’Oms. E perché effettivamente la formula che definisce l’HIV è malattia mortale se non curata adeguatamente. Quindi, dicevo, che sia di insegnamento, di esempio o di testimonianza per chi può essere interessato a sviluppare un discorso per sé stessi e per la propria community. E sono anche molto in contatto con i gruppi americani, dove vedo per esempio ed è molto interessante, le diversità delle community. Esistono addirittura degli studi clinici che sono devoted, addressed, indirizzate alle popolazioni native americane, altre ai gruppi latini di migranti che danno delle risposte fisiologiche diverse rispetto ai WASP e comunque anche comportamentali e psicologiche. Quindi dico tutto questo ci ha insegnato talmente tanto che probabilmente la comunità delle persone con HIV ha avuto quella piccola marcia in più ad affrontare anche il coronavirus. Perché avevamo già vissuto un’altra epidemia sulla nostra pelle, che per noi comunque anche quella prima è una pandemia. Probabilmente non lo era per Madeleine Albright una pandemia però per noi lo è. E ciò malgrado il fatto che poi Madeleine Albright è una persona che ho stimato moltissimo e mi dispiace moltissimo che sia scomparsa. E dimmi come devo continuare.

Rachel Love: [00:45:07] Sì, mi colpisce questa cosa, che il Nadir sia nato proprio mentre eri alla presidenza dell’European Aids Treatment Group, per cui c’era sempre questa aspettativa di tradurre informazioni europee, anche mondiali, per le comunità in Italia.

Filippo Von Schloesser: [00:45:34] E quando dovevamo incontrare le industrie che sviluppavano, cioè il meccanismo era abbastanza semplice. Del come arrivassero all’essere umano, però le molecole–cioè noi abbiamo appreso che mentre in Europa l’assistenza sanitaria è data direttamente all’essere umano, non è vero che negli Stati Uniti, ovvero dove si fa la ricerca, non esiste l’assistenza sanitaria. È tradotta in un altro linguaggio. E cioè? L’America finanzia le università per sviluppare le molecole. E quello è un fattore chiave importantissimo che crea l’indotto, che crea un risultato di medio termine. Gli europei che vedono gli americani senza l’assicurazione se non lavorano–che è vero e lo spendono sulla propria pelle oggi–però usufruiscono di tutti quelli che sono stati i fondi per la ricerca che il governo degli Stati Uniti ha dedicato all’Aids, che fino a oggi sono 9 miliardi di euro, di dollari. Ieri è uscita la notizia che il presidente Biden, per esempio, adesso finanzierà un programma di Pre-Exposure, di Prep, quindi Prep for All. Quindi, diciamo, il governo americano è presente, è presente in un altro modo, ma è presente e io lo sento come in qualche modo la fonte di quello che poi diventerà il farmaco che, grazie a Dio, qua in Italia riuscirò ad avere gratuitamente, e negli Stati Uniti, probabilmente non lo avrei. Però, diciamo, c’è collaborazione da parte delle istituzioni, di tutte, almeno del mondo occidentale, non mi addentro negli altri paesi, per poter risolvere il problema.

Filippo Von Schloesser: [00:48:12] Quindi le università sono finanziate dal governo negli Stati Uniti. Poi, alla fine l’università crea la molecola, comprende come deve funzionare la molecola e la vende all’industria farmaceutica che la sviluppa e la mette dentro ai reattori. Dopodiché diventa un prodotto finito che può o distribuire personalmente o venderne le royalties per poterlo fare distribuire a terzi. Per esempio adesso recentissimamente avevo scritto negli Stati Uniti a questo personaggio che ha sviluppato gli anticorpi monoclonali, Regeneron, o qualcosa del genere. E lui mi ha mandato a Roche per parlarne. Quindi gli step si individuano. Noi avevamo il problema a quell’epoca che non sapevamo di che cosa saremmo andati a parlare quando incontravamo le industrie farmaceutiche e poi lo abbiamo dovuto imparare per forza, evidentemente. E anzi mi ricordo che tante volte, quando parlavano delle mutazioni–a quell’epoca era molto, molto frequente il fenomeno della resistenza al farmaco–i ricercatori non sapevano neanche che cosa significasse M184V, che è la tipica mutazione della lamivudine. M e V sono degli amminoacidi, la V è valine. Quindi alla fine poi venivamo a saperne–non dico perché non mangiavamo, non toccavamo–però a saperne tanto. E questa fu la grande lotta che facemmo con Roche quando venne fuori quel farmaco difficile ma meraviglioso che fu il Fuzeon. Il Fuzeon si chiamava T20 ed era il primo sottocutaneo antiretrovirale con una penetrazione a livello dei tessuti più, diciamo, più latenti e molto difficile, ma che ha salvato la vita a un sacco di gente perché gli ha permesso un altro bridge ad arrivare a Darunavir, l’inibitore della proteasi di Janssen.

Filippo Von Schloesser: [00:51:11] E noi abbiamo avuto una discussione che è durata quasi un anno e di fatto abbiamo perso tutti perché è stata una guerra sul prezzo. A loro chiedevano–in Europa chiedevano 52$ al giorno per il Fuzeon, e sto parlando del 2000. Quindi era una cifra per cui nessun governo avrebbe messo a disposizione quel farmaco. E quindi fu una lotta lunghissima. Loro abbassarono pochissimo il prezzo, ma ritardarono di un anno la messa in commercio. E probabilmente, se si fa il calcolo di quanto avrebbero guadagnato viceversa in un anno, se avessero abbassato a 45$ probabilmente andavano a guadagnarci di più. E tanto che questo poi costò alla fine l’uscita della Roche dal mercato degli antiretrovirali e dell’HIV. Stavamo svoltando il millennio quando io facevo questi lavori. Avevo cominciato a scrivere per Delta, per la nostra rivista, e la nostra rivista prevedeva anche delle interviste. E andai un giorno a intervistare–fatti conto che era il 1998, ti do un altro shot della grande storia dell’HIV–andai a Milano a intervistare il professor [Adriano] Lazzarin, che era il primario del San Raffaele, e nella conversazione lui mi disse, “Ti vedo che stai abbastanza bene e ti vorrei far fare lo studio SILCAT.

Filippo Von Schloesser: [00:53:23] Lo studio SILCAT fu il più grande studio perché coinvolse più di 4000 persone per studiare se l’interleuchina due facilitava il recupero immunologico. Non diede dei risultati positivi, inizialmente contrastanti, e poi addirittura inutili rispetto al costo della molecola. Però lui mi invitò a fare questo, a partecipare a questo trial con una frase che realmente mi colpì molto. E fu: “Se tu entri nel SILCAT, ti prometto che ti faccio vedere il terzo millennio.” Questa è una frase della storia, della storia di chi ha vissuto la fine dell’altro millennio. È veramente un episodio a cui, in effetti, nel ’98 nessuno pensavano. E dopo di che, niente, sono transitato, ho transitato l’alba del 2000 a Miami, sul mare, dove andavamo tutti, dove andavamo veramente tutti a quell’epoca. Aveva un senso. C’era un doppio senso, il senso della community e il senso di evitare il freddo del Nord degli Stati Uniti e quindi anche del Nord dell’Europa. Per noi che eravamo un po’ vulnerabili e sicuramente prendevamo le bronchiti più facilmente degli altri. Però Miami è stato geograficamente e poi anche socialmente, un punto di riferimento molto, molto speciale e che mi sta molto a cuore. E perché ha permesso, veramente ha permesso a tanta gente di imparare, di fare dei lavori nuovi, di vivere in una zona nuova, di vivere nel caldo, di non esporsi nei periodi difficili a quelle malattie che venivano con il freddo.

Rachel Love: [00:55:41] La gente italiana sempre andava molto.

Filippo Von Schloesser: [00:55:44] Brava, di tutto il mondo, è fantastico, lo è ancora. Ma insomma tu a Miami puoi incontrare dall’argentino, al canadese, dal sudafricano al nigeriano, al cinese. C’è tutto il mondo. Ed è anche un’esperienza, se vuoi, culturalmente interessante, perché è uno di quei punti in cui senti quello che avevo sentito nell’EATG, in maniera diciamo più professionale, la differenza del linguaggio, la differenza del significato dei concetti e la differenza degli approcci che proviene anche dai sistemi da cui le persone arrivano. Mi ha colpito moltissimo–Adesso io rappresento l’EATG a UN AIDS. Mi ha colpito moltissimo sentire le esperienze delle delegazioni quando abbiamo fatto l’assemblea. Sono stati tre giorni che non vorrei rivivere. Perché sentire dall’Uruguay o dall’Africa ancora che esistono questi episodi di violenza fisica che producono una violenza e una frustrazione psicologica per il resto delle vite di queste persone, là ancora esiste. Credo che in Kenya ci siano 1.000.000 di donne infibulate. E io credo che quell’esperienza di assistere alle lamentele e alle sofferenze che hanno vissuto le popolazioni che adesso, dopo generazioni probabilmente, di infibulazione, sono esposte al cervical cancer che è diventato in Africa uno dei problemi numero uno, forse superato soltanto dall’assenza di vaccini per il coronavirus.

Filippo Von Schloesser: [00:58:07] Ma è un problema che le Nazioni Unite vogliono risolvere per poter fare quello step in avanti per arrivare veramente al 95, 95, 95 [UN HIV/AIDS aims for HIV testing, treatment and viral suppression rates to be 95%–95%–95% by 2025] e che però secondo me non è una visione realistica se non un sogno. Perché se semplicemente facciamo un conto aritmetico, i paesi musulmani non partecipano al piano delle Nazioni Unite. E i russi hanno già votato al High Level Meeting, quindi quello di preparazione dell’Assemblea generale, hanno votato contro la visione politica dell’HIV. L’HIV non è politico, è sociale, è umano, è economico. È tutto. Da lì ho capito veramente dove, dove voleva arrivare la Russia, no? Ed è stato così evidente, anche con un atteggiamento di sfida che ha fatto il rappresentante della Russia alle Nazioni Unite che improvvisamente ha cominciato a parlare russo. E tutti quanti hanno detto non capiamo niente. E il traduttore ha spiegato che la Russia non accettava più che l’inglese e il francese fossero le uniche lingue ufficialmente accettate. E pertanto noi abbiamo saputo quello che ha detto il russo semplicemente un mese dopo, quando abbiamo letto le minute. E siamo così arrivati, diciamo all’ultima pagina brutta di quello che è il nostro mondo, il mondo in cui viviamo. I russi sono 140 milioni, i musulmani probabilmente 1.000.000.000.

Filippo Von Schloesser: [01:00:16] Come facciamo ad arrivare al 95%? Non ci arriveremo mai. Se soltanto consideriamo che in Africa la percentuale di persone che riesce a fare Pre-Exposure e terapia è molto bassa ancora. Di fatto quello che lamentano i paesi africani sono proprio la difficoltà di distribuzione della terapia, che non significa semplicemente il camion, ma significa anche chi la applica e chi insegna ad applicarla. Non tutti capiscono. Anche le persone che migrano in Italia–le cooperative con cui noi abbiamo contatto ci spiegano che queste persone, poverini, credono che prendono per tre giorni le pillole e poi sono guariti. Questo è il grande messaggio difficile da comprendere per delle popolazioni che non sono abituati al concetto di cronicità, al concetto di per sempre, e che adesso io vorrei far passare nella prossima gara che presento, coinvolgendo appunto le cooperative almeno che possono essere leader nello spiegare come funziona il sistema italiano. Perché poi, tra l’altro, gli stranieri che arrivano in Italia hanno il terrore che se si sa che sono HIV positivi non gli diano il permesso di soggiorno. Non ha niente a che vedere. Sono due discorsi completamente separati. La Costituzione e l’ordine pubblico sono due temi completamente diversi.

Rachel Love: [01:02:02] Mi sembra che questo problema dell’accesso sia abbastanza grave ancora oggi, magari anche in Italia. Il Nadir ha lavorato con organizzazioni per i migranti o per le persone più [emarginate]?

Filippo Von Schloesser: [01:02:21] Beh, diciamo che non lavoriamo direttamente con loro. Cioè quello che facciamo noi è avere le porte aperte con i nostri seminari e con la nostra stampa per chiunque vuole averne accesso. Noi abbiamo avuto negli ultimi 15 mesi 75.000 accessi al nostro sito. Il che significa che–cioè non è che ci dobbiamo indirizzare a un target. Noi dobbiamo mandare un messaggio ed è poi il target–che ha delle problematiche specifiche, che poi sono soprattutto di tipo sociale, più che fisiologico o di terapia–potranno prendere contatto con noi o con le cooperative, con le piccole associazioni territoriali che effettivamente si prendono i nostri filmati e li vanno a spiegare perché hanno partecipato a seminari–non so se hai visto qualcuno dei filmati, o almeno parte perché poi sono lunghi–dove veramente negli ultimi tre anni abbiamo fatto dei landmarks della storia che stiamo vivendo.

Rachel Love: [01:03:41] Ma c’era una mancanza di queste comunicazioni, [la mancanza] di un ponte, diciamo, tra i medici, scienziati e i pazienti prima del Nadir? Negli anni ’90 si sentiva questa mancanza?

Filippo Von Schloesser: [01:03:56] No, era proprio come il l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento. Era come il Talmud e il Vangelo, completamente diversi. Occhio per occhio, dente per dente. Quindi tu stai là, io sono qua. E oggi in qualche ambiente è migliorato, ovviamente in quelli più ufficiali. La mia sensazione–il coronavirus ha bloccato, ha bloccato i centri clinici per noi. Almeno per sei mesi. A me in fase acuta di malessere mi è stato rifiutato il laboratorio nel centro dove ero seguito prima. Perché effettivamente era pericoloso per me. Cioè non sto criticando la scelta. Però di fatto noi abbiamo avuto un passaggio bloccato, avendo una patologia di lungo termine. E questo per noi ha significato il dramma, l’ansia, la frustrazione, la depressione per moltissimi, il tentativo di suicidio, i tentativi di suicidio a cui ho assistito. Quindi vorrei ancora ascoltare un medico che di fronte ai pazienti o di fronte alla società ammette che il sistema si sia bloccato. Quando facciamo le riunioni–ormai a me mi considerano abbastanza science e della parte dei medici–sono i consigli di amministrazione, di fondazioni che fanno ricerca–e quindi loro quando siamo tutti insieme a porte chiuse, dicono “Il sistema si è bloccato.” Però appena si apre la porta: “Il sistema non è bloccato.” È incredibile, è incredibile e questo ci fa ancora più male.

Rachel Love: [01:06:26] Ho [sentito] anche il discorso del fatto che non si hanno fatto i controlli [durante Covid], per cui le cifre [di sieropositività] sono crollate. Però non si capisce–

Filippo Von Schloesser: [01:06:37] Effettivamente la grande misura per prevenire quei danni che effettivamente ancora non conosciamo ma vedremo negli anni perché noi non sappiamo ancora quando finirà, come finirà e se finirà. E diciamo questa situazione è stata superata molto brillantemente dal Policlinico Gemelli dell’Università del Sacro Cuore di Roma, che ha fatto un pre-triage prima di entrare al pronto soccorso. Dopodiché, se c’è presenza Covid manda a un’altra clinica e se non c’è presenza Covid si entra lì dentro nella struttura grande. Questo ha permesso a tutti noi che frequentiamo l’ospedale di essere molto più protetti. Anche perché, per esempio, le visite per un periodo sono state abolite e per un altro periodo sono state limitate al Green Pass piuttosto che alla vaccinazione ecc. Quindi diciamo, è stato gestito meravigliosamente. E tant’è vero che il Newsweek ha giudicato il Policlinico Gemelli il numero uno d’Europa. E io ho avuto l’intuizione di lasciare il Policlinico Umberto Primo a marzo, sì, a febbraio dell’anno scorso, quindi un po’ più di un anno fa. E perché a me il Policlinico Umberto I, con il nuovo direttore di malattie infettive non mi convinceva. E in effetti ho avuto ragione perché la gente sta ancora in fila per aspettare di fare il test per l’HIV sotto la pioggia e sotto al freddo all’aperto. Questo non è possibile. Ma d’altra parte, d’altra parte io ho scritto insieme a tutte le altre associazioni, al ministero, al Presidente, al Rettore Magnifico, al direttore generale–non hanno cambiato nulla. L’unica cosa è, quello che mi fa veramente dolore, è che se Filippo si fa vivo ha tutte le porte aperte perché ha un giornale. Non deve essere così, deve essere un sistema che risponda al cittadino.

Rachel Love: [01:09:13] Infatti torniamo al problema dell’accesso.

Filippo Von Schloesser: [01:09:17] Anche mi da fastidio, anche quando mi dicono, “Va bene, per te.” No, per me, no. Per un altro.

Rachel Love: [01:09:26] Per tutti.

Filippo Von Schloesser: [01:09:26] Per me lo so arrivare, se non altro per cultura. Ma tanti altri no. C’è gente che lavora con noi, che, diciamo, che vive con noi l’informazione che riceve da Nadir e che vedo, che ha delle lacune culturali ancora molto, molto forti e che l’aiuto che gli possiamo dare è molto più di supporto morale o veramente logistico, che non quello di comprendere certi aspetti della cultura, della medicina, della salute e della carità.

Rachel Love: [01:10:08] Sì. Non vorrei trattenerti tropo che sei già stato molto generoso con il tuo tempo e disponibilità. Però grazie mille di questo intervista.

Filippo Von Schloesser: [01:10:24] Mi fa piacere. Penso che, spero che ti sia utile.


Transcript of interview on 22 March 2022.

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