Interview with Marinella Zetti

Monday 16 January 2023

Marinella Zetti, who had previously been active in the feminist and LGBTQ+ movements, began volunteering with ASA in 1990. 


Marinella Zetti: [00:00:00]  In effetti noi non sappiamo quante persone siano [siero]positive in Italia, perché se non fai il test non puoi sapere e spesso noi lo scopriamo quando queste persone sono già aggredite da malattie opportunistiche, per cui vanno in ospedale per altri motivi e poi, facendo il test dell’HIV, scoprono di essere positivi. Ma proprio tre settimane fa è venuto un signore che infatti poi adesso ha iniziato a partecipare ai nostri gruppi perché a lui è successo proprio così. Ha incominciato a stare male, nessuno capiva perché, l’hanno ricoverato d’urgenza in ospedale, e lui era positivo da dieci anni e ha rischiato ad andare all’altro mondo. Per cui è stupido non fare pubblicità, non fare informazione sui test. Ma lo stesso vale per la sifilide. Lo stesso vale per la Prep. Però siccome siamo un paese cattolico, allora la Prep, ahi.

Rachel Love: [00:01:48] Incoraggia il sesso.

Marinella Zetti: [00:01:50] Esatto, siamo ancora col sesso, per cui la Prep non si deve promuovere perché altrimenti poi la gente fa sesso liberamente. E ben venga, fa sesso liberamente ma non si prende l’HIV. Allora, con un discorso meramente economico, se tu paghi la Prep, se tu incentivi la Prep, poi pagherai in meno perché meno persone  avranno l’HIV. Per cui anche economicamente, per il ministero del sistema sanitario sarebbe positivo incentivare la Prep. Ma siccome è sesso, allora non si può fare. L’Italia purtroppo è così.

Rachel Love: [00:02:39]  Possiamo tornare un po’ indietro.

Marinella Zetti: [00:02:45] Come no.

Rachel Love: [00:02:46] Io sono Rachel Love, sono qua con Marinella Zetti, il 15 aprile.

Marinella Zetti: [00:02:55] Venerdì di Pasqua.

Rachel Love: [00:02:57] Venerdì di Pasqua, venerdì santo.

Marinella Zetti: [00:02:59] Uau.

Rachel Love: [00:03:00] Nel ’22. Allora mi potresti raccontare un po’ del tuo inizio di attivismo con ASA?

Marinella Zetti: [00:03:08] Allora incominciamo col fatto che io sono attivista LGBT dai tempi del Fuori!. Io ho incominciato a 16 anni ad essere attivista LGBT, quindi avevo e ho tantissimi amici gay, ovviamente. E ad un certo punto i miei amici gay hanno iniziato a stare male e non capivamo perché e non si comprendeva e stavano male. Poi, oltre agli amici, avevo anche una carissima amica positiva anche lei, già lo sapeva, e ad un certo punto lei mi ha detto, “Tu devi capire qualcosa di più, perché se io sto male almeno tu mi aiuti.” Abbiamo letto di questa associazione di ASA e quindi io nel ’90 sono approdata qua. ASA già esisteva dall’85, ma nel ’90 aveva già la sua sede, mentre quando è nata era nella sede di Arcigay Milano. Poi, facendo gruppi di auto-aiuto, cioè avendo necessità di avere spazi diversificati—perché ASA è stata la prima a fare i gruppi di auto-aiuto in Italia—e quindi aveva bisogno di tanti spazietti diversi, perché c’erano i gruppi per le persone omosessuali, gruppi per i parenti, gruppi per gli amici. Ogni sera c’erano almeno due gruppi in attivo. E io sono arrivata qua nel ’90, appunto, ho fatto il corso per i nuovi volontari. Mi sono trovata subito molto bene e da subito ho incominciato a fare di tutto. Sono entrata prima in assistenza domiciliare perché a quei tempi ASA aveva un grande gruppo di assistenza domiciliare, perché le persone erano a casa e ovviamente se erano da sole, non erano assistite da nessuno. Quindi noi avevamo un gruppo che si faceva carico di andare a fare la spesa, stare a far compagnia a queste persone, dare un supporto materiale e psicologico, i medici di dare un supporto medico, e poi c’erano gli infermieri che andavano nel caso a mettere e a togliere le flebo. Nel gruppo di assistenza domiciliare eravamo almeno una quarantina di volontari e ci ruotavamo per seguire le varie persone che prendevamo e tendenzialmente le portavamo fino alla morte. Per quelle che stavano male c’era il volontario che le seguiva fino al giorno in cui ci lasciavano. Ecco, queste sono esperienze che ti toccano, al di là degli amici che ho perso. Poi c’erano le persone che ho seguito o che ho visto seguire in assistenza domiciliare. E allora anche lì, a Milano c’era solo l’ASA in quel periodo, non c’erano altre associazioni che facevano questo servizio. Poi ad un certo punto, dall’89, abbiamo anche incominciato a fare quello che si faceva a San Francisco, le famose coperte, quilts. Sono nate a San Francisco perché un ragazzo aveva perso il suo compagno, quindi ha deciso che voleva fare questa coperta per salutarlo e soprattutto per combattere lo stigma. Perché fare una coperta vuol dire dichiarare che la persona è morta di AIDS e vuol dire non avere paura a dirlo, perché non dimentichiamo che a quei tempi c’era uno stigma pazzesco. Tutti avevano paura dell’Aids, ma intanto venivano allontanate le persone. I genitori che avevano un figlio positivo, gli davano un piatto di plastica, gli mettevano le posate di plastica. Io ti dico, l’ho vissuto, ho provato che cosa voleva dire lo stigma, quando ho partecipato a una trasmissione di RAI 2 come volontaria ASA.

Rachel Love: [00:07:33] Quand’era?

Marinella Zetti: [00:07:33] Sarà stato il ’92, ’93. Una cosa così. E ovviamente io non ho detto non sono positiva, per me non faceva la differenza, non era importante. E quindi tutti hanno immaginato che io fossi positiva. E quando la mattina dopo io sono andata nel bar dove andavo tutti i giorni a fare colazione, sempre, mi hanno messo la mia tazza col cappuccino e la mia brioche in un angolo del bancone. E io non capivo perché c’era tutto il bancone quasi vuoto e io lì nell’angolino. Poi è venuto il proprietario che mi ha guardato e mi ha detto, “Signora, mi spiace per il suo problema, ma io la devo mettere qua perché sa, le altre persone si spaventano.” E io non capivo. Poi mi si è accesa una lampadina, lui mi guardava, io lo guardavo, e lui mi ha detto, “L’ho vista alla televisione.” Anche io, “Guardi, ho capito. Lei parla dell’HIV.” E lui mi ha detto, “Sì,” e dico, “Guardi che non si può trasmettere con la tazza perché la tazza, lei la lava. Non è che io la trasmetto guardando le persone. Non si trasmette così. Per cui è inutile che lei mi mette nell’angolino. Non ha senso.” E infatti il giorno dopo lui mi ha messo—Però io ho capito che cosa significava. Ed era una cosa piccolina. Puoi immaginare cosa vuol dire, cioè tu incontri una persona che ti piace, questa persona vuole uscire con te, i tuoi amici che ti dicono no, non ti vedo più perché mi puoi trasmettere [l’HIV]—È una cosa pesantissima lo stigma. E anche lì non c’era informazione.

Rachel Love: [00:09:27] Questo è l’impatto di una mancanza di informazione.

Marinella Zetti: [00:09:31] Ma anche adesso lo stigma continua perché noi con le telefonate che riceviamo, ci sono persone che ancora confondono, hanno paura, cioè non capiscono. Allora non c’era U=U, adesso c’è, capito? Però torniamo a quegli anni. Allora io ti faccio degli esempi semplici per farti capire come era difficile vivere in quel tempo. Allora ASA per trovare l’appartamento da affittare ha impiegato tre mesi. Perché quando il presidente che c’era allora—che era Stefano Marcoaldi, che è stata la prima persona ad andare al Maurizio Costanzo Show a dichiarare pubblicamente la sua sieropositività—quando lui è andato in giro per agenzie ovviamente c’erano tantissimi appartamenti che andavano bene a ASA. Però quando diceva che l’associazione era Associazione Solidarietà Aids, gli appartamenti sparivano.

Rachel Love: [00:10:36] E questo effettivamente serviva per la sede.

Marinella Zetti: [00:10:39] Serviva per la sede. Allora tu spiegami perché uno non dovrebbe affittare? Non è che qua c’erano le persone che spargevano sangue, siccome l’unico sistema per contrarre l’Aids è il sangue o i liquidi seminali. Non è che si buttavano sulle scale del condominio. Non c’era motivo. Eppure così era. Fintanto che Stefano ha usato il Maurizio Costanzo, nel senso che ha dichiarato pubblicamente che ASA non riusciva a trovare una sede, ha dichiarato com’era difficile questa cosa, e quindi poi la sede si è trovata. Ma poi ti dico, c’erano anche per i funerali pompe funebri che si rifiutavano di fare il funerale a una persona morta di Aids.

[…] Cioè erano tanti i passaggi per cui tu ti sentivi veramente oltre a una persona che non sapeva quanto avrebbe vissuto—e tu dici, “È per tutti così,” però presumibilmente quando hai 25, 30 anni, non immagini di morire dopo tre anni, ti immagini avere una prospettiva di vita un po’ più lunga—per cui già avevi questa cosa, che dovevi combattere contro la tristezza, l’angoscia. Ed era uno dei grossi lavori che facevamo in ASA, cioè noi dicevamo, “Attenzione, prima della morte c’è la vita, goditi la vita che hai, non importa quanto sia lunga, però non morire prima di morire.” E questo già era una delle cose che noi facevamo con enfasi, perché era molto importante. Perché quando una persona arrivava qui—io ricordo di un ragazzo di vent’anni che è arrivato qui e mi ha detto, “Al mio primo rapporto, mi sono infettato.” Il primo rapporto. E tra l’altro quel ragazzo è morto dopo quattro anni. Voglio dire, era davvero difficile perché era una condanna, quando ti dicevano sei positivo, anche il medico ti dava tre, quattro anni. Ma sai quante persone hanno cambiato, stravolto la loro vita. Un mio carissimo amico, Pigi Mazzoli, che tra l’altro è uno dei sopravvissuti perché lui è ormai da 40 anni, non lo so, è positivo da allora, lui stava studiando all’università, ma ha smesso. Perché quando gli hanno detto tre, quattro anni di vita, ha detto “Cosa faccio? Studio, tre, quattro anni e poi muoio?” Ha incominciato a fare tutt’altra cosa. E lui è ancora vivo adesso, per cui lui non ha finito l’università. Ma non solo lui. Tanti hanno stravolto la loro vita così. Invece c’erano altri che—ad esempio Gianfranco Palumbo che studiava avvocato, da avvocato ha fondato il gruppo carcere con i Cotonus noi avevamo anche il gruppo [carcere]. Infatti poi ho lasciato l’assistenza domiciliare e sono entrata nel gruppo carcere quando Gianfranco è diventato avvocato e non poteva più entrare in carcere a fare i gruppi di auto-aiuto perché, essendo avvocato, avrebbe avuto conflitto di interesse. Quindi lui ha lasciato il gruppo e ha chiesto a me di prenderli in mano. E noi facevamo i gruppi di auto-aiuto in carcere, al terzo raggio dove sono detenuti i ragazzi tossici e al sesto raggio dove ci sono le trans, per cui noi facevamo questi gruppi il sabato mattina al terzo e il sabato pomeriggio al sesto raggio, perché il carcere era una realtà—Se lo stigma all’esterno era forte, ti lascio immaginare cos’era all’interno. Quindi noi facevamo questi gruppi nel raggio con i tossici, siccome il gruppo era aperto a tutti ovviamente in modo che non venissero segnalate e additate le persone positive, noi spiegavamo a tutti come si trasmetteva, cosa succedeva e cosa si poteva fare. Ad esempio non scambiarsi la lametta, il rasoio per farsi la barba, tutta una serie di accorgimenti da tenere soprattutto quando vivi in una cella con altre persone. E poi venivano fuori le storie personali. Insomma, tante cose sono uscite in quei gruppi.

Rachel Love: [00:16:01] E per cosa erano in carcere, per spaccio di droga?

Marinella Zetti: [00:16:05] Sì, per spaccio o uso o queste cose. E il gruppo durava due ore. Io te lo dico perché ho fatto sia il terzo raggio che il sesto. Con le trans era un discorso molto più ampio perché a parte che loro non avevano problemi a dichiarare la loro positività all’interno del gruppo, anche perché molte lo erano, altre no, però non c’era nessuno stigma tra loro, ma soprattutto noi facevamo da aiuto veramente forte, perché loro come entravano li erano tra virgolette “abbandonate”. Non avevano più nessuno. Perché mentre i ragazzi avevano la famiglia, loro niente. Per cui a me capitava di tenere i contatti con gli avvocati, cioè facevo proprio da assistenza. Ma sai quante volte io andavo a cercare le loro [amiche], perché loro mi dicevano devi dirla alla mia amica in modo che dica l’avvocato, faccia quello. E io andavo dove loro battevano la sera per trovare l’amica che batteva. Quante volte sono stata lì, seduta la notte in mezzo a loro ad aspettare. Poi la cosa drammatica è che le trans raramente hanno un pappone, la persona che le fa battere. Però hanno il loro uomo, il loro fidanzato, che è per loro è Dio in terra, e quindi tendenzialmente, quando loro venivano incarcerate, questo le mollava. Io chiamavo questa persona, dicevo guarda e la risposta generalmente era, “Non mi rompere i coglioni. Io non ne voglio più sapere.” Per cui per me il dramma era tornare in carcere e dire a questa ragazza che il suo grande amore l’aveva mollata. Ti assicuro che era il momento peggiore del gruppo. Ma poi alcune soffrivano veramente di grandi crisi, stavano male 

[…] Queste erano le cose che noi facevamo. Le coperte abbiamo incominciato a raccoglierle anche noi. Perché in America lo facevano, allora noi abbiamo incominciato a dire e a parlare delle coperte, abbiamo cominciato a farle noi stessi e a portarcele perché, come ti ho detto, era un modo per battere lo stigma. Noi le esponevamo la domenica precedente al primo dicembre sotto la Galleria Vittorio Emanuele. Mettevamo giù tutte le nostre coperte con una grande cerimonia, eravamo tutti vestiti di bianco. Noi ripetevamo la stessa cerimonia che c’era negli Stati Uniti. Le tenevamo tutto il pomeriggio, poi leggevamo i nomi delle persone che erano nelle coperte. E lì, nel 1996 ci siamo tutti sdraiati sulle nostre coperte. Perché nel ’96 sono arrivati gli antiretrovirali ma in Italia li davano solo se tu entravi in alcune, non mi viene in mente—

Rachel Love: [00:21:12] Sperimentazioni sui farmaci?

Marinella Zetti: [00:21:20] Esatto, esatto, esatto, c’erano. Però erano in numero limitato. Ok, e tutti gli altri non avevano diritto agli antiretrovirali. Allora che cosa abbiamo fatto? Noi abbiamo coinvolto anche le altre associazioni milanesi, perché allora nel ’96 già c’erano altri, c’era la Lila, c’era l’ANLAIDS, ce n’erano altre, e ci siamo tutti sdraiati sulle coperte con i cartelli addosso, dicendo, “Se non ci date le medicine, noi siamo tutti morti,” per cui noi eravamo lì, tutti sdraiati, lì c’è la foto sulla sul libro. E sono venute tutte le televisioni. E questo ha smosso molto sia l’opinione pubblica che il ministero. Infatti poi gli antiretrovirali sono stati dati non soltanto per sperimentale, ma a tutti.

Rachel Love: [00:22:22] Eravate ispirati anche da die in di ACT UP?

Marinella Zetti: [00:22:27] Sì, certo. Certo, noi facevamo delle cose non così dirompenti come facevano [ACT UP], però nel nostro piccolo sì, abbiamo fatto spettacoli, abbiamo fatto anche noi cose dirompenti, cioè per far capire all’opinione pubblica. Allora più che altro devo dire però che l’ASA è sempre stata impegnata sulla persona, cioè il nostro lavoro primario era accogliere le persone e dare speranza alle persone, perché in quegli anni la cosa che si doveva fare era dare speranza, cioè far comprendere queste persone che s, avevano una condanna di morte, ma prima dovevano vivere e che dovevano vivere al meglio. Per cui nel ’96 abbiamo tirato tutti un respiro di sollievo perché finalmente si poteva—Adesso, quando noi scopriamo casualmente durante i test una persona positiva, sì, è uno shock perché fa comunque paura l’HIV, però ci sono le cure, però c’è una terapia che ti consente di vivere serenamente bene. E poi, da quando nel 2016 è stato provato nell’ambiente scientifico, di U=U se ne parlava da tempo, ma da quando è diventato scientificamente provato e testato, perché è stato fatto quello studio per cui tutte quelle persone col partner discordante hanno fatto sesso senza preservativo e nessuno è stato infettato. Da lì è diventato scientificamente provato che una persona in terapia efficace da almeno sei mesi non può infettare più nessuno, manco se lo vuole. Però questo in Italia non si dice. Cioè mentre in altri paesi su U=U, negli Stati Uniti, in Germania, in Francia e in Inghilterra, sono state fatte campagne pazzesche, qui in Italia non lo dice nessuno. Quando io sono andato a fare il vaccino per il Covid io avevo appuntato sul mio pullover questa [spilla U=U] e siccome stavo aspettando perché dovevano preparare cinque, sei fiale, non mi ricordo, da iniettare. E quindi stavamo aspettando. Allora il medico mi guarda e mi dice, “Ma mi scusi, perché lei porta quella, cos’è quella U=U?” Io ero al San Matteo di Pavia, che è un’eccellenza italiana in fatto di ospedali e io l’ho guardato, ho detto, “Mi scusi, lei è un medico e non sa cos’è U=U?” E mi ha detto, “No, per me non significa nulla.” Io gli ho spiegato tutto e lui mi ha guardato e mi ha detto, “Accidenti, è grave che io non lo sappia.” Dico beh, sì. C’era il ragazzo che inseriva i dati, mi dice, “Manco io lo sapevo.” E l’infermiera, “Nemmeno io.” Per cui capisci che un medico di un ospedale che è considerato un’eccellenza non lo sappia—allora, se non lo sa la signora Maria che va a comperare il pane o il prosciutto dal salumiere, va benissimo, ma un medico lo deve sapere. Ma come non lo sapeva il mio medico di base?

Rachel Love: [00:26:17] Per cui manca questa campagna di informazione anche all’interno della comunità medica.

Marinella Zetti: [00:26:20] Esatto. Allora, negli anni bui comunque venivano fatte delle campagne orrende, bruttissime, forse non lo sai, ma c’era quella colla cosino viola.

Rachel Love: [00:26:37] Sì, l’ho vista.

Marinella Zetti: [00:26:37] Che era bruttissima. Però almeno quella campagna è stata fatta e se la ricordano tutti benissimo. Adesso non c’è niente, zero. E tieni conto che ASA insieme alle altre associazioni—quando ci sono le riunioni che parlano di HIV e di malattie sessualmente trasmissibili, il nostro presidente è seduto al tavolo insieme alle altre associazioni e noi spingiamo perché venga fatto. Noi siamo seduti a quel tavolo. Il primo che è andato era Stefano Marcoaldi. Da allora noi continuiamo ad andare a bussare. Non è che chiediamo soldi. Noi chiediamo informazione, chiediamo cose per la cittadinanza perché la gente sappia. Poi, diciamo anche tra parentesi, noi facciamo il vostro lavoro. Per cui dovreste pagarci per quello che facciamo. Non ci pagate ma almeno i soldi che avete spendeteli per fare campagne promozionali perché altrimenti non ne usciremo più. Allora in Australia con la Prep hanno eliminato i contagi. Non sono neanche così intelligenti da capire che se tu fai quell’investimento poi spendi meno. Ripeto, se è un fatto puramente economico, spendi meno, risparmi. In Italia la prevenzione abbiamo imparato farla sui tumori perché mandiamo a fare gli screening. Però non c’è niente da fare, quando parli di sesso, l’Italia è nel Medioevo.

Rachel Love: [00:28:33] Ma anche ai tempi, questo era una sfida.

Marinella Zetti: [00:28:36] Ma certo. Tieni conto che noi andiamo anche nelle scuole, da sempre tentiamo di andare nelle scuole. Il problema è che—allora adesso un po’ di più le porte si sono aperte. A quei tempi nella scuola siamo riusciti per un certo periodo ad andarci la mamma di Enrico Barzaghi, anche lui tra i primi a dichiararsi pubblicamente. Lì c’è un altro modo per capire com’era lo stigma. Allora Ursula che è una gran donna, cioè è tuttora vivente, questa signora tedesca che ha avuto questo figlio, Enrico, che si è infettato, ha preso HIV e quindi poi è andato in AIDS e poi è morto. Ma prima che lui morisse, loro rientravano da una visita medica e chiamano l’ascensore. Questa signora abita qui vicino, sul viale D’Annunzio, proprio a due passi. Allora chiamano l’ascensore, arriva l’ascensore, e il signore che aspettava con lui dice, “No, no, io salgo dopo.” Allora, siccome questo fatto era già accaduto, allora cosa ha fatto Ursula? Ha invitato per un tè in casa sua tutti i condomini e li ha fatto la spiega di che cos’era l’HIV, di che cosa voleva dire essere positivi, e praticamente ha fatto sentire questi signori che avevano questo pregiudizio nei confronti di Enrico, li ha fatti sentire delle merdacce come era giusto che fosse. E poi queste persone hanno cambiato. Però sono tutti passaggi. Lei andava nelle scuole a spiegare che cosa voleva dire essere la mamma di una persona positiva e vedere tuo figlio, che già è positivo e quindi sta male, che in più viene allontanato dagli altri.

Infatti lei ha scritto anche un bellissimo libro che era Senza Vergogna, lo troverai anche questo qui dentro, che era pubblicato da Feltrinelli e ha venduto tantissimo. Però Feltrinelli che era diverso dalla Feltrinelli di oggi. Noi il nostro Essepiù lo mettevamo in tutti i punti vendita Feltrinelli gratuitamente. Adesso non lo vuole più perché l’ultima volta che gli ho chiesto mi hanno risposto che lo spazio equivale e costa, per cui loro espongono solo cose che vendono e che quindi producono incasso. Questa è la Feltrinelli, un tempo non era così. Allora ti dico, lo stigma c’era ovunque. Io avevo fatto l’esempio di Ursula, ma era ovunque, capisci? Che ti posso dire? Era difficile per una persona positiva vivere normalmente. Dirlo agli amici spesso voleva dire perdere gli amici. Se vivevi da solo a volte neanche lo dicevano ai genitori. Se vivevi col tuo compagno—e poi c’era la storia che se due persone vivevano insieme, questo è successo al mio amico Franco e al suo compagno, Franco è morto e il suo compagno è stato sbattuto fuori di casa perché lui non era niente. I genitori hanno detto di no. E oltretutto lui avrebbe voluto, perché Franco voleva essere seppellito qua a Milano perché aveva tutti gli amici, invece la madre se l’è portato via in Liguria. C’era anche questo fatto, questa cosa che se due persone vivevano assieme, arrivederci e grazie. Era tutto difficile, era veramente tutto, tutto, tutto difficile.

Rachel Love: [00:32:55] Poi stigma sopra stigma, se viene fuori che sei gay oppure che fai uso di sostanze.

Marinella Zetti: [00:33:04] Sì, ma il discorso era sempre lo stesso, se sei sieropositivo è perché o sei gay e quindi feccia o sei tossico e quindi feccia. Punto. E noi continuavamo a dire che non c’erano categorie a rischio, ma c’erano comportamenti a rischio perché il virus, come il Covid, non guarda in faccia nessuno. Do cojo cojo, cioè al virus non gliene frega niente se tu fai uso di sostanze, se sei etero o se sei gay, cosa sei. A lui non gliene frega niente.

Rachel Love: [00:33:39] Anche qui mancava una campagna d’informazione.

Marinella Zetti: [00:33:40] Ma, certo. Infatti noi continuavamo a dire, attenzione, non è la malattia dei gay, è la malattia di chi ha rapporti senza preservativo. Ma la parola preservativo in Italia non si poteva dire. Tu sai che alla televisione riuscivano a fare le campagne senza nominare il preservativo perché non si può dire preservativo?

Rachel Love: [00:34:05] Ma cosa comunicavano allora?

Marinella Zetti: [00:34:08] La parola preservativo o condom non si poteva usare, però devi far l’amore proteggendoti, dovevi fare l’amore sicuro. Però preservativo, no. È stato dirompente la prima campagna, mi pare l’abbia fatta Ambra Angiolini, io non mi ricordo chi, con il preservativo in mano.

Rachel Love: [00:34:29] Perché altrimenti magari uno si chiede, ma come faccio l’amore sicuro?

Marinella Zetti: [00:34:34] Esatto, si, ma se tu pensi che noi avevamo il Papa che faceva dire nelle chiese che usare il preservativo era peccato. A parte in Africa moltissimi missionari distribuivano i preservativi o parlavano del preservativo perché si rendevano conto che era assurdo perché tu condannavi le persone a morte. Per che cosa? Cioè l’Italia era più penalizzata rispetto ad altre nazioni, perché io mi ricorderò sempre una volta, io sono giornalista, e in quel periodo lavoravo per Il Sole 24 Ore, viaggiavo tantissimo per lavoro. Io mi ricordo una volta sono arrivata in Francia, a Charles de Gaulle, all’aeroporto, e c’era un preservativo che era alto tipo due metri e mezzo, un enorme preservativo. Lì tu arrivavi a Charles de Gaulle dove c’era questo preservativo e c’era scritto “Usami,” grosso. Allora io ridevo da sola, dicevo, “Pensa  arrivare all’aeroporto di Roma e trovare questo.”

Rachel Love: [00:35:59] Quando era, ti ricordi? Anni ’90?

Marinella Zetti: [00:36:04] Eh, sì, anni ’90. Ma poi io andavo sempre per un convegno ad agosto in California e alla Santa Cruz c’era questa grande università bellissima in un bosco meraviglioso e c’era un edificio solo per transgender, gay, lesbiche, dove avevi tutte le informazioni. Tu te immagini in un’università italiana, a quei tempi, dove c’era un edificio adibito alle persone LGBT per avere informazioni? Cioè impossibile. Beh, io mi ricordo che lì si parlava liberamente di [sessualità] pur essendo puritani, gli americani, però avevano campagne pubblicitarie promozionali, se ne parlava. Poi c’erano le comunità LGBT che erano molto, molto coinvolte. Infatti tutto quello che è uscito, ma anche in Italia, voglio dire le prime associazioni, noi, il Mario Mieli, tutti, non perché siamo più bravi, ma perché ci siamo mobilitati prima perché abbiamo visto la comunità che stava male e quindi abbiamo detto cosa possiamo fare per aiutare. E poi abbiamo messo a disposizione di tutta la cittadinanza quello che noi avevamo imparato.

Rachel Love: [00:37:41] Stavate guardando anche all’estero.

Marinella Zetti: [00:37:43] Certo, ovviamente i gruppi di auto-aiuto li abbiamo presi dagli Stati Uniti perché il nostro presidente Marcoaldi e gli altri erano anche loro giornalisti che viaggiavano, avevano grandi rapporti con l’estero. Il nostro presidente, Massimo Cernuschi, te l’ha detto, lui quando finiva la specializzazione in infettivologia sarebbe dovuto partire per l’Africa perché il suo obiettivo era andare a fare il medico in Africa. Poi è scoppiata la HIV e lui era al Sacco ed è rimasto lì.

Rachel Love: [00:38:23] Ne avevano bisogno.

Marinella Zetti: [00:38:23] Certo, il suo mentore, il suo capo, gli ha detto, “Ma cosa vuoi andare in Africa? Ce l’abbiamo qui. Puoi fare benissimo. Cioè è tutto qui ormai.” Però era tutto difficile, capisci? Era tutto complesso e difficile. Ecco, un’altra cosa che noi facevamo proprio per vincere lo stigma, noi l’ultimo lunedì del mese facevamo una festa, chiamiamola così, in un locale che era un locale per sole donne che però lunedì era chiuso e quindi ce lo prestavano. Venivano le proprietarie, si mettevano al bancone per servire da bere, e noi ci incontravamo lì. Era una festa dove a volte facevamo musica, a volte facevamo spettacolo en travesti, e a volte facevamo la tombola. Era un modo per far sì che le persone che scoprivano la loro sieropositività e non volevano venire in associazione perché avevano paura, non lo so, però venivano alla festa, capisci? Venivano perché lì era un locale dove ci si divertiva. Poi ovviamente c’erano in giro per il locale tutti i counselor dell’ASA che quando capivano che una persona aveva bisogno di parlare, si sedevano e incominciavano a raccontare. E sai quante persone sono venute a raccontarci che erano positive durante questi incontri, perché era un modo diverso per dargli l’opportunità di avvicinarsi senza scoprirsi. Perché se tu entri in un’associazione che si chiama ASA, magari gli altri dicono, “Dove sei andato?” “Sono andato in ASA.” “Allora sei positivo.” Invece, “Ci vado alla festa.” Certo, lo facevamo noi, ma era una festa, c’era tantissima gente. Mi ricordo, abbiamo fatto la festa al luna park. Facevamo tante iniziative per uno, informare perché quando facevamo queste iniziative di studio distribuivamo preservativi, distribuivamo opuscoli, facevamo informazione, e due, sempre per dare l’opportunità a chi non voleva esporsi di venire in contatto con noi dell’associazione. Era un grande lavoro, capito? Ma non solo l’ASA, tutte le associazioni che si occupavano AIDS l’hanno fatto. Noi l’abbiamo fatto prima perché siamo arrivati prima. Ecco, tutto qua.

Rachel Love: [00:41:13] Senza mai un sostegno.

Marinella Zetti: [00:41:17] No, mai. Mai un sostegno. Sì. Hanno incominciato ad un certo punto a sostenerci alcune case farmaceutiche, nel senso che noi abbiamo presentato progetti e ce li hanno finanziati, però il progetto. Noi, fortunatamente, grazie all’assistenza domiciliare in cui abbiamo assistito dalla persona che non aveva una lira e quindi—tra l’altro quando una persona non aveva soldi, noi gli facevamo la spesa, facevamo tutte queste cose, e chi pagava era sempre l’ASA, attenzione. Perché se una persona era indigente e non aveva di che mantenersi noi prevedevamo tutto. Fortunatamente noi assistevamo anche persone che avevano soldi e che poi ci lasciavano grandi donazioni, perché per noi che uno non avesse soldi o che uno avesse soldi per noi, il servizio lo forniva a tutti in egual modo. Come persone che venivano i nostri gruppi di auto aiuto, nessuno pagava niente o se facevano uso dei nostri psicologi, nessuno pagava niente. Per cui voglio dire che noi facevamo veramente tanto per tutti, perché qui c’erano persone, te lo dico con serenità, c’erano persone positive, cioè persone gay, persone etero, tutto. C’erano persone che facevano o che avevano fatto uso di sostanze. C’era tutto perché le porte dell’ASA erano aperte a tutti. Certo, tutti sapevano che noi volontari nella maggior parte dei casi eravamo omosessuali perché l’associazione era stata fondata da omosessuali, per cui quello era nel nostro DNA. Però noi non abbiamo mai fatto nessun tipo di distinzione, figurati.

Rachel Love: [00:43:07] Sono arrivate anche persone immigrate?

Marinella Zetti: [00:43:13] Diciamo che sì, qualcuno è arrivato ma soprattutto erano trans le persone extracomunitarie, chiamiamole così, non italiane. Perché a quei tempi di immigrazione non c’erano tanti da dire.

Rachel Love: [00:43:29] Non era sentito. Fuori dal carcere si lavorava anche con le persone trans?

Marinella Zetti: [00:43:38] Diciamo che fuori dal carcere noi li mandavamo nelle associazioni che erano più consone. Noi non ci siamo mai occupati di transizione, noi ci occupiamo di HIV, per cui era il nostro specifico. Poi ovvio che allora, mi ricordo abbiamo fatto una bellissima festa, un Capodanno, perché avevamo, adesso non ce l’abbiamo più, non ci serviva più, ma avevamo un altro locale che era una parte del garage di questo [palazzo] e noi avevamo affittato anche quello. Poi, quando non c’è più servito, abbiamo lasciato perdere. E lì abbiamo fatto una festa a Capodanno, dove sono venute tantissime persone. Però ti dico noi utilizzavamo tutti i mezzi per far confluire le persone in quegli anni in ASA senza, come dire, scoprirsi. Perché adesso, poi, col fatto che facciamo il bASAr poi vengono, e il bASAr anche adesso è un metodo per venire in ASA a parlare dei tuoi problemi senza darne l’occhio perché comunque vieni al mercatino. È sempre uguale. Cioè anche adesso le persone positive non lo dicono perché c’è sempre la paura di perdere—Allora se una persona è insegnante o se lavora in un ristorante o se fa un lavoro al pubblico, magari se ha il proprio ristorante o se ha il proprio negozio parrucchiere o quello che è, se ne frega perché è il proprietario e dice “Ok, non mi posso licenziare da solo,” ma se tu sei assunto c’è il rischio che in un modo o nell’altro facciano in modo che tu vada via.

Rachel Love: [00:45:40] Presumo che sia illegale però trovano un modo—

Marinella Zetti: [00:45:44] È illegale, certo. Però incominciano a far il mobbing, fanno mobbing. Ma perché? Col fatto che non c’è informazione, l’HIV è sempre una brutta bestia. Ma tu sai che a me capita di parlare con ragazzi e parlo della sifilide. E questi mi guardano e mi dicono, “Ma la sifilide non esiste più.” “No,” dico, “esiste. Non solo esiste, ma c’è una pandemia in tutta Europa di sifilide.” Perché la sifilide è tornata ad essere in auge in tutta Europa, siccome non se ne parla più. Infatti noi ormai da un anno, due anni, abbiamo iniziato prima del Covid e continuiamo, quando facciamo i test, facciamo HIV e sifilide perché c’è una tale epidemia di sifilide. Che poi uno neanche se ne accorge perché se  leggera all’inizio manco te ne accorgi. Per cui rischi di peggiorare e poi dover fare dosi massicce, capito?

Rachel Love: [00:46:51] È venuta fuori più sifilide che HIV in questi tempi?

Marinella Zetti: [00:46:55] Sì, c’è tanta sifilide in giro, tanta. Ma non solo in Italia, ovunque. C’è tanta, tanta, tanta sifilide. Sì.

Rachel Love: [00:47:02] Perché se non si parla mai di sesso sicuro, di preservativi, continua.

Marinella Zetti: [00:47:06] Esatto. Esatto, continua. Bene, dimmi qualcos’altro.

Rachel Love: [00:47:14] Mi parlavi di questa esperienza di andare ai convegni. Magari mi puoi raccontare di più di questa mobilità, di andare agli incontri per persone sieropositive o conferenze—

Marinella Zetti: [00:47:34] Allora, il primo convegno, riunione, di persone positive in Italia, l’ha organizzato l’ASA a Milano. La trovi tutta la cosa nel libro. È stato la prima volta che le persone positive si sono incontrate tutte assieme e hanno parlato delle loro problematiche, di come si sentivano. Che poi a quei tempi, al solito—adesso si parla principalmente di migliorare la qualità della vita. Allora si parlava della vita, cioè di come vivere quel po’ di vita che avevi, di cosa fare. Allora si provavano anche, come dire, medicine alternative, omeopatia, di tutto. Visto che non c’era nulla, c’era solo la AZT. Le persone prendevano un mucchio di integratori, minerali, ovviamente provavi tutto. Però c’era una cosa che anche i medici dicevano che era importante, cioè che se tu stavi bene intellettualmente, mentalmente, se eri positivo nel senso che affrontavi la vita in modo positivo, anche la tua sieropositività ne traeva beneficio. Se tu eri triste, afflitto, stressato, i tuoi CD4 calavano. Per cui anche quello era importante. Poi io personalmente sono andata due volte negli Stati Uniti alla sede del Names Project per fare degli scambi con loro, per vedere cosa, come, e lì era pazzesco perché c’era praticamente un edificio a San Francisco—allora era San Francisco, poi la sede si è trasferita, credo in Pennsylvania, non mi ricordo—comunque a San Francisco c’era un palazzo intero dove facevano continuamente coperte perché ovviamente arrivavano da tutta l’America, e lì abbiamo avuto questi scambi. Poi, come dire, sono andati Stefano, tutti i vari presidenti, le varie persone positive partecipavano a queste cose. Tieni conto che io non sono positiva, per cui non andavo a questi incontri perché non avevo [l’HIV]. Lo facevo tutto, ormai allora tutti mi dicono che sono positiva, ad honorem, perché ho vissuto talmente tutto.

Rachel Love: [00:50:30] Ho parlato con Diego Scudiero a Bologna e mi ha detto che è sierocoinvolto.

Marinella Zetti: [00:50:36] Sì, certo, certo, sierocoinvolto, esatto. Anche Daniele Calzavara, del Milano Check Point—Ah, ecco un’altra cosa che poi l’ASA ha spinto per fare—lui mi diceva sempre, “Tu sei positiva ad honorem.” Un’altra cosa a cui l’ASA ha dato una spinta grandissima è stata far nascere il Milano Check Point. Si è impegnata fortemente in prima linea per far sì che a Milano venisse—il Check Point c’è a Bologna, e noi siamo stati i secondi. Abbiamo creato il Milano Check Point dove sono riunite tutte le associazioni. Perché Milano Check Point è formato da ASA, Anlaids, Lila, NPS e Arcigay. Tutte queste associazioni fanno il Check Point. Il presidente di Milano Check Point è Massimo, il nostro presidente, perché siamo stati noi che abbiamo spinto per fare questa cosa, perché noi riteniamo che le associazioni debbano collaborare tra loro. Non può ognuno coltivare il proprio orticello. Dobbiamo farlo tutti insieme perché così otteniamo migliori risultati. E poi era importante che a Milano ci fosse come c’è in tutte le città europee un Check Point. Il Check Point è, voglio dire, della cittadinanza milanese. Infatti Check Point fa tutte le cose e noi le facciamo insieme al Check Point, facendone parte. Ma anche lì, niente. Tieni conto che né noi né il Check Point siamo riusciti ad avere una sede dal Comune. Allora noi possiamo essere un’associazione privata, ma il Check Point è proprio il punto, voglio dire, dove—Sì, all’inizio quando è nato ci hanno dato una stanzetta alla casa dei diritti qui dietro. Il problema è che era una stanzetta minuscola e al Check Point arrivano 40, 50 persone ogni volta che si fanno i test. Per cui c’è bisogno di privacy, nel senso che tu devi fare l’incontro con la persona e hai bisogno di più [spazio]. Il medico deve stare dove fa il test, deve stare in una stanza. La psicologa deve stare in un’altra stanza. Poi c’è bisogno di una stanza grande per l’accoglienza, quando arrivano. Alla fine il Milano Check Point s’è preso, ha cercato una sede, se la paga. Però capisci che non ha senso. Perché voglio dire noi e loro e le altre. Noi facciamo un servizio al pubblico. Quindi quanto meno la sede, io non dico che ci diano soldi, ma quantomeno la sede ce la dovrebbero dare. Non vuoi darci nient’altro, ma ci devi dare una sede perché noi facciamo il tuo lavoro. Allora la risposta della Regione Lombardia è stata—quando Milano Check Point è andato a chiedere la sede alla Regione Lombardia, siccome vengono da tutta la regione a fare i test, la risposta è stata, “Ma ci sono i punti negli ospedali, quindi voi siete inutili.” Questa è la Regione Lombardia. “Voi duplicate il lavoro che già facciamo noi.” E noi abbiamo risposto, “No, perché noi lo facciamo in orari diversi dai vostri. Voi lo fate la mattina e le persone devono assentarsi dal lavoro. Noi lo facciamo la sera, lo facciamo dalle cinque alle nove, quando le persone escono dal lavoro in modo che non debbano prendere orari di ferie o cose per poter fare il test.”

Rachel Love: [00:54:43] E poi dover spiegare al padrone.

Marinella Zetti: [00:54:45] Esatto. Andare in un ospedale, non è un ambiente accogliente. Noi non giudichiamo, da noi la sospensione del giudizio l’abbiamo imparata da 30 anni a questa parte. Non giudichiamo. Da noi sono tutti ben accetti. Per noi se una persona è gay, rossa, verde, ce hai bitorzoli in testa, a noi non ce ne frega niente.

Rachel Love: [00:55:16] E magari viene anche dalla prospettiva di essere un gruppo LGBT+ per prima.

Marinella Zetti: [00:55:22] Guarda che qui da noi vengono un mucchio di persone, ragazze e ragazzi. Ma perché si sentono accolti e soprattutto sanno che da noi, se anche scoprono di avere la sifilide o di essere positivi, nessuno li giudicherà mai. Semmai il contrario, se mai ci sediamo con loro, ci chiacchieriamo e li accogliamo. Cioè lo facciamo da 30 anni, ragazzi, cioè è il nostro lavoro, lo facciamo da sempre. Allora il solito discorso, noi siamo LGBT, quindi la discriminazione la conosciamo benissimo, la combattiamo da una vita. Per cui mai io discriminerò una persona di colore o una persona positiva. Ti pare? Sono state discriminata io per una vita. Ma no, mi rifiuto di essere razzista, mi rifiuto. Non posso. Io porto qui [l’arcobaleno], cioè andrei contro me stessa, capisci.

Rachel Love: [00:56:35] È un modo per costruire delle solidarietà.

Marinella Zetti: [00:56:40] Che vanno oltre. Ma poi tieni conto che una delle nostre psicologhe, Alessandra, ha fatto volontariato per una vita al Naga, che è una delle associazioni che si occupa di migranti a Milano. Ancora adesso fa delle cose con il Naga. Per cui voglio dire poi noi in carcere collaboravamo con il Naga da sempre, collaboravamo con tutte queste associazioni.

Rachel Love: [00:57:15] Se posso chiedere dell’Essepiù, cambiando discorso. Specialmente nei primi numeri, ho visto che arrivavano parecchi materiali, articoli dall’estero che venivano tradotti. Come funzionava? Come si trovavano queste materie?

Marinella Zetti: [00:57:39] Allora, siccome Massimo era medico, riceveva informazioni. Erano materiali che arrivavano principalmente ai medici che venivano tradotti. Perché nella comunità dei medici c’era più scambio di informazioni. E noi traducevamo quelle cose. Oppure ci arrivavano dagli attivisti stranieri coi quali avevamo preso contatti, per cui ci mandavano il materiale, noi lo traducevamo.

Rachel Love: [00:58:16] Ti ricordi di dove venivano questi attivisti stranieri? Francesi?

Marinella Zetti: [00:58:21] Principalmente americani, inglesi, francesi. Ma c’era un po’ di tutto. Massimo aveva molti amici in Francia e in Germania, per cui gli arrivavano materiali da lì. Tieni conto che Massimo, per esempio, è andato—perché la Prep a Milano ha incominciato a seguirla proprio ASA—e Massimo, per capire bene come funzionava, è andato una settimana a vedere come si muovevano negli ospedali francesi, perché in Francia viene data in ospedale. È molto più avanzato di noi. È andato in Francia, è stato lì una settimana, ha seguito gli ospedali francesi, i medici francesi, poi ha portato quello che aveva acquisito come esperienza in ASA. Noi abbiamo incominciato a fare i primi incontri per la Prep. Le persone venivano, facevano il primo incontro con lo psicologo, poi venivano fatti tutte le analisi perché per noi la Prep va presa in modo sicuro. Per cui fate tutte le analisi e dopodiché dovevi fare un mese per restare pulito, poi venivano rifatte le analisi. A quel punto si incominciava con il percorso sulla Prep. Ovviamente noi l’abbiamo fatto in ASA fino a che non è nato il Milano Check Point.

Marinella Zetti: [00:59:56] Poi abbiamo demandato al Milano Check Point tutta la questione Prep. Però noi abbiamo presentato tanti dati ai vari congressi tipo ICAR e Nadir ed altri congressi, e Massimo al congressi internazionali di medicina, cioè siamo quelli che hanno più dati sulla Prep perché abbiamo iniziato a farla tantissimo tempo fa. E ASA è molto impegnata sul chem sex perché ha un gruppo psicoterapeuta per persone che hanno dipendenza dai chems. È gestito da una psicoterapeuta Giorgia Fracca e da un nostro volontario, Michele Manfredini. E poi siamo stati i primi a fare un sito che si chiamava chems.it per dare tutte le informazioni corrette sulle sostanze. Poi il sito non funzionava bene sui mobile e quindi abbiamo dovuto rifarlo perché funzionasse bene sia su iPad sia su tutti gli strumenti mobili. E adesso andrà online a breve. Comunque anche con i chems noi siamo stati i primi e anche lì Giorgio e Manfredini sono andati ai vari convegni internazionali per portare tutti i dati che sono usciti da questo grande lavoro.

Rachel Love: [01:01:32] Perché anche magari mancando una presenza del ministero della Salute è stato lasciato a voi di fare—

Marinella Zetti: [01:01:39] Allora attenzione, l’ASA e non solo l’ASA, tante altre associazioni, hanno dovuto fare corsi ai medici dei pronto soccorsi per spiegare cosa sono i chems, perché neanche lo sapevano. Per cui se arrivava una persona in overdose al pronto soccorso non sapevano come muoversi. Noi abbiamo anche un esperto che è un esperto in farmacologia e in chimica, Michele Lanza, e lui è andato in giro per l’Italia a fare corsi. Poi ha dovuto stoppare, li faceva online. Però lui è un altro grandissimo esperto di queste sostanze, perché lui, essendo farmacologo e chimico, lui ti spiega esattamente l’interazione, ti spiega cosa puoi fare, cosa non puoi fare. Poi al solito noi non siamo proibizionisti, noi diciamo se ti vuoi fare di chems, fallo, però attenzione, guarda il sito, leggi cosa fanno, come sono le interazioni delle sostanze, poi fatti in modo sicuro.

Rachel Love: [01:02:56] Un discorso di riduzione del danno?

Marinella Zetti: [01:02:58] Esatto. Cioè noi continuiamo a parlare della sospensione del giudizio, nel senso che io non giudico cosa fai e neanche dico no, tu non lo devi fare. Lo vuoi fare? Fallo in modo sicuro.

Rachel Love: [01:03:12] Si faceva anche ai tempi con uso di eroina?

Marinella Zetti: [01:03:14] Certo. Beh, io sono antiproibizionista da sempre. Per cui è proprio una forma mentis, capito? Io non ti giudico e non ti dico cosa devi fare. Ti dico soltanto, fallo in modo sicuro. Tutto qua. E la stessa cosa è sui chems, per questo noi abbiamo fatto questo gruppo, perché anche lì le persone possono farsi in modo sicuro. Ma quando si rendono conto che la loro vita ormai dipende dai chems e non vanno più a lavorare, non sono più in grado di lavorare, non sono più in grado di avere una relazione, non sono più in grado di fare nulla, allora vuol dire che ha sviluppato una dipendenza e quindi non va bene, perché non vivi più serenamente anche quella volta che ti fai di coca basata per dire. E allora facciamo un gruppo in cui ti diciamo qualità della vita.

Rachel Love: [01:04:19] È un lavoro molto necessario. Questo per dire una cosa ovvia.

Marinella Zetti: [01:04:28] Sì, molto necessario ma difficile, perché anche lì parli di sesso e parli di droga.

Rachel Love: [01:04:44] Non si può. Leggendo Essepiù ho notato questa presenza di Stefano Marcoaldi e anche di Adelaide Bonelli.

Marinella Zetti: [01:04:58] Adelaide Bonelli, sì. Pensa che Adelaide è per me—Io l’ho conosciuta poco perché quando sono arrivata in ASA, l’ho frequentata, ma meno di Stefano Marcoaldi, per esempio. Anche perché poi lei è stata male ed era allettata, quindi era a casa sua. E io l’ultimo ricordo che ho di Adelaide è che dovevo portare una sacca che doveva esserle iniettata perché lei non si riusciva più a nutrire. E mi ricordo che io sono arrivata con questa cosa a casa sua, sua madre mi ha aperto la porta piangendo e mi ha detto, “Grazie Marinella. Adelaide è morta da un quarto d’ora.” Io mi sono sentita con questo mio sacchettino—cioè mi sono sentita così impotente perché mi sembrava di essere arrivata troppo tardi. Ovviamente non era vero però nella mia testa ho detto, “Ecco, forse se arrivavo prima—” Cioè mi sentivo proprio, sono stata molto male, perché sono arrivata così e vabbè. Ma poi l’altra cosa per me che è stata fortissima, è stato quando allora c’era Andrea Amoroso, che era vicepresidente di ASA, positivo, ormai incominciava a non stare benissimo, eravamo molto amici, e lui mi ha detto, “Io accetto la vicepresidenza, però tu devi stare al mio fianco perché se per caso a me succede qualcosa, tu devi andare avanti.” E mi ricordo che una sera siamo stati al direttivo, poi io lo portavo sempre a casa, oltretutto lui abitava vicino a me. Per cui arriviamo sotto casa sua e lui mi guarda e mi fa, “No, adesso parcheggi perché devi salire, dobbiamo parlare.” E io ho detto ok, ho parcheggiato, e mi ha detto, “Adesso ci prepariamo perché a me manca poco per cui ti devo preparare il fatto che io muoia e ti devo dire cosa devi fare, cosa devi fare con i miei genitori.” Abbiamo incominciato in quel momento e lui era di una lucidità e di una serenità totale. Io scoppiavo a piangere, cioè io mi sentivo malissimo, e lui mi guardava, e diceva, “Ma lo sapevi. Non piangere, lo sapevi, lo sapevamo tutti e due.” E così è stato fino anche lui era in ospedale, vabbè, e io gli ho fatto la coperta come lui la voleva, viola, di raso viola, con tutte le fotografie di San Francisco, la spiaggia.

Rachel Love: [01:07:51] Perché ci andava lui?

Marinella Zetti: [01:07:52] Lui me l’aveva raccontato e mi aveva detto, “Io so quando ho preso l’HIV, una notte su una spiaggia a San Francisco. E se tornassi indietro lo rifarei tutto da capo.” Andrea era una persona solare, bella. Poi ci piaceva la stessa musica, le stesse poesie, le stesse cose. Infatti c’era un brano di una canzone sulla sua coperta. Era una persona, per me—

Rachel Love: [01:08:35] Un amico del cuore?

Marinella Zetti: [01:08:37] Molto amico. Ma io ho tanti amici del cuore, però ti dico con lui è stato veramente—Cioè anche lì ho capito tante cose. Quando lui mi ha detto, “Adesso ci prepariamo,” io [sono rimasta senza fiato] a vedere la sua serenità.

Rachel Love: [01:09:03] Come affrontava la morte, la vita.

Marinella Zetti: [01:09:10] Esatto. Lui mi ha insegnato tanto, tanto, tanto. Ma come Stefano, io mi ricordo che Stefano ad un certo punto mi ha preso in disparte, mi ha detto, “Beh, io tra un po’ sai che non verrò più in ASA. Perché io quando incomincio a diventare brutto io non mi faccio più vedere in ASA, me ne sto a casa,” e dice, “Io ti ho insegnato, adesso state—” cioè sono quelle cose che io ho vissuto come, per esempio noi siamo riusciti, coinvolgendo Google, a [digitalizzare] tutte le nostre coperte, una a una. [Google] è venuto con questa enorme macchina particolare che è un brevetto di Google e nasce così. Noi abbiamo fatto una presentazione delle coperte in cui io dicevo che volevamo digitalizzare le coperte perché non potevamo più esporle e poi si rovinavano e c’era il rischio che le persone non potessero più vederle. È venuto uno dei dirigenti di Google, ha visto le coperte ha detto, “Queste sono opere d’arte, dobbiamo farlo insieme.” E quindi siamo stati impegnati un mese, abbiamo preso un amico che ha una showroom bella grande, e coperta su coperta questa macchina—io dico macchina fotografica, ma è molto più complessa, quella che Google usa per le opere d’arte quando digitalizza tutte le chiese, l’ha usata per le nostre coperte. E noi per un mese  ogni coperta l’abbiamo fotografata, una roba pazzesca. E adesso sono tutte su Google Arts and Culture. Per cui le coperte sono visibili tutte lì e di ogni coperta c’è chi l’ha fatta e a chi è dedicata, ecc. Questo per me era un dovere, nel senso che io vivevo il fatto che le coperte si deterioravano come se quelle persone fossero cadute nel dimenticatoio. Siccome tutte quelle persone ci hanno messo la faccia, hanno detto, “Io muoio, ma non mi vergogno di morire,” allora per me era un dovere morale far sì che queste persone vivessero in eterno. Come potevo farlo, così capito così.

Rachel Love: [01:11:51] E anche raggiungibile da tutto il mondo.

Speaker1: [01:11:53] Da tutto il mondo, per cui loro ci saranno sempre. Poi mi sono posto lo stesso problema con Essepiù perché ho detto, Essepiù è l’unica testimonianza che fa il percorso dell’HIV in Italia dal 1990 ai giorni nostri. Adesso, è tutto sul computer, ma prima era solo cartaceo, per cui ho detto dobbiamo fare questa cosa. Allora io mi sono portato a casa tutti gli Essepiù che avevamo, scatole e scatole, e mi sono messa lì a passarli uno per uno. Prima ho fatto una sintesi, e poi ho detto no, veramente è stata la mia amica del cuore Flaminia, lei viveva in Bretagna, mentre io le raccontavo, lei mi ha detto, “No, ma non puoi fare solo un giornalino, tu devi fare il libro, devi fare un libro perché così rimarrà per sempre, e devi pubblicarlo su Amazon. Perché se lo fai con un editore poi lo manda fuori catalogo, mentre in Amazon, una volta che è lì ci rimane.” E io ho detto, “Lo sai che hai ragione?” E allora mi sono rimessa in gioco, mi son guardata tutte cose, poi sono andata da Alessandro Saccon, che è il responsabile relazioni esterne di Amazon Italia, che è un amico che conosco da una vita e ho detto, “Senti, questo è il progetto.” Lui mi ha detto, “Troppo bello, ne parlo con i miei capi,” e loro hanno fatto questo, cioè mi hanno fornito la persona che pagina tutto. Se questo esiste, è perché, come Google ha dato il contributo per le coperte, Amazon l’ha dato per il libro. Però adesso le coperte ci saranno per sempre e questa testimonianza è raggiungibile da tutti per sempre.

Rachel Love: [01:13:56] Se le persone vogliono vedere le coperte, cosa devono cercare su Google?

Marinella Zetti: [01:14:02] Basta che mettono su Google le coperte dei nomi, ASA, e poi Google Arts and Culture, e trovano la nostra pagina.

Rachel Love: [01:14:17] Sì, infatti io sfogliando Essepiù, leggendo tutti i numeri, mi sono affezionata a queste figure, come Stefano e Adelaide, e poi sono arrivate le notizie che erano morti, con i tributi, e mi è mancato un po’ il fiato.

Marinella Zetti: [01:14:38] Ma guarda, io mi ricordo i funerali di questi, mi ricordo il funerale di Stefano, cioè, io ne parlo ancora piango. Faceva un freddo pazzesco. Ma poi lo sai quante—Allora io mi ricordo, sono andata anche una marea di funerali di ragazzi che stavano in carcere perché i genitori mi dicevano, “Non viene nessuno.” Io andavo perché non andava nessuno e c’erano solo questi due genitori con questa bara. Ma sai a quanti funerali ho partecipato, anche se sì, li avevo visti ai gruppi, però non avevo—Però ci andavo perché questi poveretti erano abbandonati a loro [sorte]. Nessuno andava al funerale. Per cui me lo ricordo in queste camere mortuarie deserte io andavo per dare solidarietà alle famiglie, più che altro. Ma tante, tante volte sono andata semplicemente per dire non sei un povero derelitto, io sono qui, ti ho conosciuto, sono qui. Però capisci che brutto?

Rachel Love: [01:15:51] Anche magari difficile immaginare, capire per qualcuno che non abbia vissuto a questa parata di morte, però si cerca di capire.

Marinella Zetti: [01:16:04] Noi cercavamo di capire, cercavamo di aiutare in tutti i modi. Ma io ti dico quello che ho fatto io, ma quello che ho fatto io l’hanno fatto tutti i volontari di ASA. Io parlo per me. Ma i volontari di ASA e delle altre associazioni, perché LILA ha fatto lo stesso. Anche se tutti dicono, questo lo dicono gli altri, che ASA ha un modo di accogliere le persone che solo in ASA c’è. Ma questo lo dice Boldrini che è presidente di Lila, dice, “Voi siete bravissimi. Avete un modo di accogliere che. gli altri non hanno.” Non so, non ti so dire perché. Allora io mi ricordo al corso che ho fatto di volontario, allora Stefano, a parte che Stefano era di una bellezza che tu non puoi immaginare, era bello, intelligente, parlava bene, cioè le aveva tutte—Lui entra in questa stanza piena di volontari, ci guarda, e dice, “Allora chiariamo una cosa. Nessuno vi obbliga a fare il volontario. Quindi se voi fate volontari e frequentate questo corso, sappiate che se in ASA venite e dite che siete presenti dalle tre alle quattro, voi dovete essere presenti dalle tre alle quattro. Perché nessuno vi chiede di fare il volontario. Se lo fate vi impegnate, siete responsabili. Se non vi sta bene, quella è la porta.” Noi muti, tutti zitti. Però lui era così. Cioè se tu non vuoi dare la tua presenza perché quel giorno non puoi, non la dai. Ma se tu mi dici che arrivi alle cinque devi arrivare alle cinque. Perché un altro se ne deve andare alle cinque.

Rachel Love: [01:18:07] Poi c’è la gente che ne ha bisogno e dipende sulla tua presenza qua.

Marinella Zetti: [01:18:09] Esatto.

Marinella Zetti: [01:18:12] Poi il counselling vis-a-vis era più facile. La cosa più terribile era il counselling telefonico. Quello era il più difficile. Quando sei vis-a-vis con una persona tu vedi l’espressione del volto. Quando sei al telefono—Io ero avvantaggiata perché da giornalista mi capitava di fare interviste telefoniche, per cui io percepivo le sfumature di voce, però è difficile. Allora mi ricordo che io ero qua un pomeriggio, perché allora noi tenevamo aperto anche il sabato in quel periodo così difficile, io mi ricordo che tornavo dal carcere, ero qua e c’era Stefano, e suona il telefono. E io non mi muovo perché io ero abilitata al counseling, ma non avevo mai fatto—sì, l’avevo fatto per prova durante il corso. E lui mi guardava, “Beh, non rispondi al telefono?” Io terrorizzata. E così io ho risposto, capito? Però me lo ricordo benissimo, lui in piedi vicino a me [che mi guarda]. Ma però devo dire che è stata un’esperienza—io mi potevo permettere di fare tutto quello perché io ero giornalista ma libera professionista, non ero assunta dal Sole, ero freelance, a quei tempi avevo tante collaborazioni. A me il Sole aveva proposto di essere assunta e io avevo risposto no, perché altrimenti non avrei più avuto tempo per il volontariato. C’era il caporedattore centrale del Sole che mi guardava e diceva, “Io lavoro al Sole da tantissimi anni. Nessuno ha mai detto no al Sole.” Lui mi rispettava e aveva una stima per me fortissima perché diceva, “Tu hai detto no, perché vuoi la libertà di fare volontariato.” E mi ricordo che a una riunione, questo lui me l’ha raccontato tanti anni dopo, c’era una riunione di redazione con il direttore, i caporedattori centrali, e ad un certo punto dovevano decidere la partecipazione ad un convegno importante, e lui ha detto, “Mandiamo Marinella perché lei già conosce quell’argomento.” E uno l’ha guardato e gli ha detto, “Ma tu lo sai che Marinella è lesbica? E tu manderesti in giro a rappresentare il Sole una persona così?” E lui l’ha guardato e gli ha risposto, “Ma francamente a me di quello che Marinella fa sotto le coperte non interessa niente. Io so che quando lei scrive un pezzo e quando fa un intervista da tutti gli anni che collabora con noi non abbiamo mai avuto qualcuno che si è lamentato. Anzi, tutti dicono che è precisissima. Invece di tante altre persone io ho avuto lamentele. Quindi io guardo ai risultati. A me quello che fa lei non mi interessa.”

Rachel Love: [01:21:45] E meno male.

Marinella Zetti: [01:21:46] E questo lui me l’ha detto anni dopo. Io non sapevo assolutamente niente.

Rachel Love: [01:21:53] E magari ci fossero più persone come lui.

Marinella Zetti: [01:21:56] Ma infatti io mi ricordo che durante un viaggio c’era una collega di Repubblica e mi ha detto, “Ma tu sei così, lo sanno tutti di te.” Io dico, “Guarda, io faccio battaglie politiche da quando ho 16 anni, ti pare che io mi nasconda? Ma stiamo scherzando? Poi di che cosa mi devo nascondere? Non ho ucciso nessuno.” E lei ha detto, “Beh a Repubblica non sono così aperti.” Ecco, mi dispiace per Repubblica. Adesso è cambiato, ti parlo di tanti anni fa.

Rachel Love: [01:22:36] Ma è sempre un problema questo impulso di nascondersi, la sieropositività, la sessualità. […] Altre persone mi hanno parlato di questa mancanza anche di una celebrità che si dichiarasse sieropositivo, anche questo ha avuto un impatto?

Marinella Zetti: [01:26:39] Infatti qui ha avuto un impatto forte quando si è dichiarato Stefano, perché Stefano era un giornalista del mondo, era piuttosto famoso, per cui ha avuto un impatto forte. Il problema è che le persone temono sempre, c’è sempre il solito discorso dello stigma. Io ho una marea di amici che io so essere positivi che non lo dicono. Qui in ASA noi sappiamo tutto di tutto, però all’esterno non lo dicono. Il problema è che, per esempio, ci sono persone che non possono dirlo. Alcuni l’hanno detto magari al loro capo al lavoro però non lo dicono ai colleghi per la questione del pregiudizio, dello stigma. Altri non lo dicono perché non l’hanno comunicato ai genitori che magari ci hanno 80 anni e quindi se lo vengano a sapere gli viene un coccolone, ovviamente, perché mancando l’informazione dicono, “Oddio, mio figlio muore domani.” Capito? Per cui tantissimi non possono uscire pubblicamente perché la principale cosa non l’hanno detto ai genitori e non l’hanno detto sul posto di lavoro.

[…] Per esempio negli anni era la scuola, i bambini positivi erano difficilissimi da gestire perché ad un adulto gli dici, “Non usi la stessa lametta, non usi lo stesso spazzolino,” ma un bambino positivo scambia lo spazzolino con il suo compagnetto del cuore. Adesso non c’è problema ma allora bisognava seguirli proprio passo passo, capito.

Rachel Love: [01:31:26] E c’era anche uno stigma contro i bambini nelle scuole?

Marinella Zetti: [01:31:33] Certo. Infatti tendenzialmente lo sapeva solo la maestra. Ma poi c’era anche un modo di fare negli ospedali, nei posti dove tu andavi a fare il test, poi ti chiamavano, “Marinella Zetti. Positiva.”

Rachel Love: [01:32:02] Una mancanza totale di privacy e di rispetto.

Marinella Zetti: [01:32:06] Un po’ come dire come quando tu andavi per l’aborto e l’infermiera ti diceva, “Ti sei divertita? E mo’ t’arrangi.” Perché io mi sono fatta anche tutta la battaglia sull’aborto, come puoi ben immaginare. E poi tu dici perché non vanno nei posti pubblici a fare il test? E perché? Perché all’ospedale io non so chi ho di fronte. Magari ce l’ho di fronte il medico cattolico, per benino, integralista, che poi mi fa sentire in colpa perché sono positivo. Per esempio.

Rachel Love: [01:33:00] Sto leggendo il libro di Agnoletto e parla di tutti questi disastri che sono avvenuti perché i medici hanno detto la diagnosi alla mamma, eccetera.

Marinella Zetti: [01:33:12] Certo. È una cosa che tu devi dire solo alla persona e solo la persona può decidere a chi dirlo. Perché non devi sentirti in dovere di dirlo al suo compagno, alla sua compagna. È la persona che deve [dirlo]. Certo, tu devi convincere quella persona che deve parlarne con il suo compagno o la sua compagna. Questo devi fare, ma non andargli a dire.

Rachel Love: [01:33:45] Non è il tuo lavoro.

Marinella Zetti: [01:33:46] Non è il tuo lavoro. Però, capito, sono tante le cose. Il problema è che—adesso è più facile da quando c’è U=U. Però comunque la privacy deve restare.


Transcript of interview on 15 April 2022

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